Temporary Manager qualificati Atema: storie e testimonianze

Secondo appuntamento con le interviste ai Temporary Manager qualificati Atema. Questa settimana parlano a Infoiva Flavio Pogliani e Claudio Vettor.

Che cosa significa per lei essere un TM qualificato Atema?
FLAVIO POGLIANI: Ho scelto di associarmi ad Atema perché il focus dato alla professione di TM è sugli aspetti soft di chi opera in questa ottica.
Ho voluto cioè cogliere l’opportunità di valorizzare quella parte degli skills necessaria al TM non legata a dati ‘tecnici’, che emergono facilmente dal proprio profilo professionale, ma le capacità più manageriali e comunicative essenziali per una rapida integrazione con la realtà aziendale e tuttora trascurati da altre associazioni/network di TM.
Perciò ritengo la qualificazione Atema un ottimo veicolo per sottolineare presso le aziende quel plus che contraddistingue un TM, che vuole/può ‘far parte dell’azienda’ per il periodo necessario, rispetto al consulente ‘ho io la soluzione preconfezionata’ che, a causa di tale approccio, sta perdendo credibilità.
CLAUDIO VETTOR: Gli esperti affermano che i rischi maggiori si corrono quando si è molto fiduciosi nei propri mezzi e nella propria esperienza. Questo vale per chi opera in impianti complessi come le raffinerie, ma vale anche per chi, di mestiere, guida le aziende nel cambiamento. Qualificarsi in modo serio significa garantire, prima di tutto a se stessi, un confronto con la realtà e un momento di riflessione.
Non c’è miglioramento senza misura, vale nella scienza ma anche nel management. La qualificazione Atema è una “misura”, perfettibile certo ma già molto solida, senza la quale diventa impossibile migliorarsi.

Qual è il percorso professionale che l’ha portata a diventare TM?
FLAVIO POGLIANI: Dopo 25 anni di professione nel’ICT, dapprima per conto di società di consulenza poi per 18 anni in aziende internazionali, all’inizio del 2009 non è stato più possibile continuare la collaborazione con l’azienda in cui lavoravo quale dipendente.
Ho quindi valutato la situazione del mercato e ho constatato che anche in Italia si sta faticosamente facendo strada l’idea che la crescita aziendale richiede a volte passaggi culturali/organizzativi repentini, ove la  figura del TM, anche in specifiche aree funzionali, può giocare un ruolo fondamentale.
Per questo motivo ho iniziato un percorso professionale teso a offrire le mie competenze/esperienze ad aziende che necessitano di interventi ben mirati nel tempo e nel contenuto, aiutato in questo dall’aver potuto iniziare in un contesto estero dove la cultura del TM si va diffondendo già da tempo.
CLAUDIO VETTOR: Mi sento un caso particolare; mi sono avvicinato al TM quest’anno dopo aver passato 12 anni in azienda (gli ultimi come manager) e altri 12 da “consulente”: E’ vero che in qualche progetto di consulenza ho agito in realtà come TM, ma finora senza sentirmi tale. Come consulente in effetti mi sono portato dietro il modo di fare dell’uomo di azienda (mi sono sempre sporcato le mani, per così dire).
Negli ultimi anni, poi, mi sono accorto che le aziende che seguivo, più che di consulenza vera e propria avevano bisogno di management; ovvero di un manager che desse un’impronta precisa a una serie di processi e/o funzioni e allo stesso tempo educasse le persone interne a nuovi ruoli.

Qual è, a suo avviso, l’apporto che un TM può portare alla cultura aziendale in cui opera?
FLAVIO POGLIANI: Ritengo che sempre più spesso le aziende necessitino di momenti di crescita ‘per rottura’, ovvero di momenti in cui si debba acquisire rapidamente esperienza di elevata qualità, ma senza che ci sia la necessità/possibilità di inserire in azienda tali figure in modo permanente (vuoi x dimensioni aziendali, vuoi perché un processo di riorganizzazione ha come obiettivo finale anche un struttura organizzativa dai costi contenuti). In questo contesto l’approccio di un consulente ‘classico’ è in genere molto standard, del tipo: ‘so già come va a finire; fate così e otterrete il risultato ottimale’.
Il TM, viceversa, si pone come parte dell’azienda, ha sì l’esperienza del ‘già visto’, ma la usa assieme al resto dell’azienda per cercare la soluzione ottimale per quella specifica realtà. Inoltre, è propenso a far crescere professionalmente il personale interno, anzi spesso è uno degli obiettivi concordati, anche perché non è interessato a rimanervi oltre il tempo richiesto dal progetto.
Va aggiunto che spesso il TM dispone di skills sovradimensionati rispetto alle esigenze specifiche dell’azienda e per scelta tende a trasferire all’organizzazione non solo tecniche, ma soprattutto una reale nuova filosofia di approccio alla gestione quotidiana.
CLAUDIO VETTOR: Credo che il ruolo fondamentale, ancora prima dell’esperienza, sia di far fare dei grandi cambiamenti all’azienda il più velocemente possibile e il meno dolorosamente possibile. A differenza del consulente, il TM ha il vantaggio di essere parte integrante, anche se per un periodo limitato di tempo, dell’azienda; in questo senso ha più “titoli” per introdurre cambiamenti drastici nelle politiche e nelle prassi.

Ci racconti la sua prima e la sua più recente esperienza come TM: in quali aziende, con quali mansioni e per quanto tempo, oltre a un bilancio dell’esperienza stessa.
FLAVIO POGLIANI: La prima esperienza è legata al gruppo internazionale da cui sono uscito e all’approccio che la casa madre tedesca ha avuto nei confronti della mia professionalità.
In pratica, dopo che era stato definito l’agreement per la mia uscita dal gruppo, sono stato invitato a proseguire comunque nella gestione del progetto di riorganizzazione del processo di verifica/acquisizione e pagamento fatturazione passiva.
Essendo in tale azienda il TM una figura già utilizzata è stato possibile definire un mandato di 5 mesi con specifica delega sul budget del progetto e formazione di un più giovane collega, portandolo a buon fine nei tempi previsti e con soddisfazione del business.
L’ultima esperienza è stata un breve progetto di riorganizzazione in area amministrativa di una piccola realtà no profit, assai interessante sia sul piano dei rapporti personali che quale occasione di trasferire all’azienda non solo le proprie esperienze ICT, ma anche quelle contabili/finanziare maturate in anni di supporto all’area amministrativa.
CLAUDIO VETTOR: Come vero e proprio TM finora ho avuto una sola esperienza come direttore generale di una media azienda padronale e quotata in Borsa; un progetto di consulenza dopo qualche mese si è trasformato, per richiesta della proprietà, in un incarico a tempo pieno. Sono stati 18 mesi esaltanti, ho imparato molto in particolare sul rapporto tra proprietà e TM; ritornare a essere “uomo di azienda” mi ha dato molte soddisfazioni e, a distanza di alcuni anni, c’è ancora un ottimo rapporto con gli altri manager.