Pricing debole? I tuoi profitti calano del 25%

Il 65% delle aziende non è in grado di modificare i prezzi in modo conforme al valore offerto dai loro prodotti e servizi. La conseguenza è che il 25% dei profitti vanno perduti. Invece di concentrarsi sul profitto, il 46% degli amministratori delegati combatte una guerra di prezzo per conquistare volumi e quote di mercato. Infine, quando le aziende decidono di aumentare i prezzi, quello che ottengono è solo la metà di quanto previsto.

Sono i risultati del Global Pricing Study 2011, condotto dall’impresa di consulenza Simon-Kucher & Partners, presente sia in Italia che a livello mondiale. L’indagine getta luce su cultura del profitto, potere relativo al pricing e prospettive di profitto di più di 3.900 dirigenti di tutti i principali settori sia manifatturieri che di servizi, chiarendo anche il modo in cui intendono fronteggiare il rischio dell’inflazione. Circa la metà degli intervistati in Europa, USA e Asia proviene da aziende con un fatturato superiore a un miliardo di euro; un terzo degli intervistati è costituito da top manager. I risultati dello studio dimostrano che le aziende sottovalutano la minaccia dell’inflazione e sono scarsamente preparate quando si tratta di aumentare i prezzi. Ma l’inflazione è inevitabile. “Per garantire i profitti i dirigenti devono prepararsi a fronteggiare l’inflazione. Nella maggior parte dei casi è sbagliato usare il tasso d’inflazione come benchmark per stabilire l’aumento dei prezzi“, spiega Danilo Zatta, Senior Director in Simon-Kucher & Partners.
 
Il mancato sfruttamento del potere del pricing
Il potere del pricing consiste nella capacità delle aziende di spuntare dei prezzi in linea con il valore offerto ai loro clienti. Soltanto un terzo dispone di un sufficiente potere di pricing e di competenze per trasformare il valore in denaro. Il restante 65% delle aziende ammette di non avere alcun potere di pricing, o di averne poco, e ciò spiega per quale motivo non sia possibile raggiungere il prezzo obiettivo. Le scarse prestazioni sono costose e riducono di un quarto i profitti.
 
Sotto questo aspetto esistono profonde differenze tra i diversi settori e Paesi: il settore chimico (14%) e quello di trasporti & logistica (19%) detengono il minor potere di pricing. L’Italia e la Spagna, a causa del difficile contesto economico, sono i Paesi più deboli per quanto riguarda il potere di pricing. Le aziende situate in Polonia, USA e Francia, così come i settori farmaceutico e dei beni di largo consumo, si trovano all’altro opposto e spesso spuntano dei prezzi di mercato in linea con il valore offerto. Che cosa differenzia le aziende con un forte potere di pricing da quelle che ne hanno poco? “Le determinanti primarie di un elevato potere di pricing sono il valore per il cliente e il marchio“, spiega il dott. Zatta. “Ogni azienda è in grado di sviluppare un elevato potere di pricing. Se un’azienda offre ai suoi clienti un valore reale, comunicandolo mediante un marchio superiore, potrà tradurlo in denaro“. Le aziende che giustificano le loro scarse prestazioni attribuendo la colpa alla concorrenza si autoingannano.
 
La guerra dei prezzi continua
Il 46% delle aziende è ancora impegnato in una guerra dei prezzi. La grande maggioranza dei dirigenti (83%) ne attribuisce la colpa ai concorrenti – sebbene ciò non sia statisticamente possibile. Paragonando i Paesi, il Giappone risulta con l’84% il mercato più competitivo nella guerra dei prezzi, seguito dall’Italia (69%) e dalla Spagna (65%). “I dirigenti devono impegnarsi di più per incrementare i profitti e non puntare solo sulla quota di mercato. Il prezzo è la maggiore leva per il profitto“, afferma Zatta.
 
La sottovalutazione della minaccia dell’inflazione
Il pricing è un argomento che è sempre stato trascurato da molte aziende e, con l’inflazione dietro l’angolo, ne pagheranno le conseguenze: i risultati del sondaggio rivelano che la grande maggioranza delle aziende è in grado di ottenere solo la metà dell’aumento di prezzo target. Solo il 36% delle aziende raggiunge almeno i tre quarti dell’aumento di prezzo originariamente pianificato. L’industria delle telecomunicazioni (25%) è chiaramente al di sotto della media, ma anche gli USA (31%) risultano deboli per ciò che riguarda l’attuazione dei prezzi.
 
In mancanza di esperienza i dirigenti usano il tasso d’inflazione come benchmark per i target relativi agli aumenti di prezzo. Il 68% dei dirigenti pianifica un aumento dei prezzi inferiore o in linea con i tassi d’inflazione. “È fatale usare il tasso d’inflazione come benchmark, tenendo conto che la maggior parte delle aziende sono in difficoltà quando si tratta di aumentare i prezzi. Questo non è sufficiente“, conclude Danilo Zatta. Soltanto i settori delle costruzioni, dei beni industriali e dei trasporti & logistica prevedono di aumentare i prezzi oltre il tasso d’inflazione.
 
Nell’affrontare il rischio dell’inflazione il know-how nel pricing diviene lo spartiacque fra aziende profittevoli e quelle con scarsa marginalità. I risultati dello studio rivelano la formula del successo: quanto migliore è il know-how relativo al pricing, tanto maggiori saranno il potere di pricing e i profitti. Profitti superiori di almeno il 25% lo dimostrano.