Rischio default Sicilia? Per salvarsi fare inversione a U e non abbandonare l’isola

 

Clima incandescente in Sicilia, e non parliamo solo di quello afoso tipico della stagione o della fumosa  cima “della montagna”, l’Etna. E’ a rischio default sì o no la bella terra di Trinacria? Cosa ne dicono i siciliani D.O.C.? E chi fa impresa, per davvero e con serietà, come sta affrontando la situazione?

Infoiva prosegue il focus della settimana a tu-per-tu con il Dottor Vittorio Messina, presidente vicario della Confesercenti regionale.

Dottor Messina, come stanno vivendo gli esercenti della sua Regione questo pericolo di collasso del sistema?
Direi in maniera drammatica, sconfortati per i numeri della crisi che, nel solo settore del commercio, segnano la perdita di 12 mila posti di lavoro, senza contare quelli che si nascondono dietro il sommerso e che sfuggono alla statistica. Fra il 2011 e il 2012 sono invece circa 15 mila le aziende che si sono viste costrette a far fronte alla chiusura o al fallimento, come riportano i dati forniti dalle associazioni di categoria.

La recente stagione dei saldi e quella turistica stanno aiutando il sistema esercenti? Il trend dei consumi e dei fatturati delle piccole imprese dell’isola sono in positivo?
E’ ancora presto per fare un bilancio che possa valutare l’incidenza della stagione turistica rispetto alle vendite, ma già dalle prime settimane dei saldi si conferma un trend decisamente negativo che anche quest’anno vede il settore del commercio al dettaglio come quello più colpito dalla crisi. In Sicilia inoltre va considerato che, dato l’esiguo numero di industrie presenti nel territorio, il settore del commercio è quello che fornisce occupazione più di tutti gli altri, rappresentando ben il 33 per cento delle imprese operanti nell’Isola, rispetto al 27 per cento della media nazionale, secondo quanto rimarcato dal Rapporto Sicilia 2011 di Unioncamere Sicilia.

Che cosa servirebbe, per lei, per risanare l’economia della sua Regione?
Un’inversione ad U nel modo non solo di amministrare il pubblico denaro ma di tenere in considerazione le esigenze di chi porta avanti un’intrapresa economica che deve essere vista come un occasione di crescita per tutto il territorio. Non è una sorpresa rilevare che il primo ostacolo che incide maggiormente nella crisi delle imprese del settore è la crescente riduzione del mercato interno a fronte altresi di continuo aumento dei costi di produzione. Allo stesso modo, stando al sondaggio stilato nel Rapporto Sicilia di Unioncamere, il 45 per cento degli imprenditori isolani intravede nella riduzione dei costi il fattore determinante per tornare a competere e a contrastare la crisi. Un altro problema molto avvertito è quello dell’accesso al credito. Noi viviamo in una terra molto attraente ma non facciamo nulla per approfittare dei doni che la natura ci ha reso, anche dal punto di vista delle risorse immateriali di cui l’Isola è ricca. Penso alle giovani energie che non riusciamo a trattenere.

Ed il buon nome della Regione Sicilia?
A conferma delle cose già dette prima, ritengo che il buon nome della Sicilia necessita di interventi non solo di maquillage ma di segnali concreti che ne rilancino l’affidabilità del sistema regionale verso chi intende investire nell’isola o verso chi dobbiamo convincere a non abbandonare la Sicilia. In questa direzione la politica locale non aiuta questo compito che è molto impegnativo ma che rappresenta la vera sfida culturale per l’intera classe dirigente.

Come sta andando la stagione: quest’anno in moltissimi hanno puntato sulla Sicilia, dice che questo trend aiuterà la vostra piccola economia?
Purtroppo non riusciamo ad attrezzarci per cogliere le potenzialità di una tendenza che è reale. L’Isola è a metà classifica nel gradimento dei visitatori, ma si riducono le permanenze per i costi. La programmazione degli eventi nella stagione estiva viene fatta con molto ritardo. I collegamenti con le isole minori lasciano a desiderare. Una nota di speranza potrebbero essere i distretti turistici di recente istituzione per organizzare un’offerta che sia adeguata all’appeal dei luoghi.

I negozi e gli esercizi, ad oggi, sono grandi indirizzi del franchising o piccole imprese familiari? Quali sono quelle che stanno resistendo di più alla crisi? Ci dia qualche numero.
In prevalenza sono imprese familiari, ma anche diversi sono i punti vendita in franchising. Condivido intanto la necessità di istituire un tavolo permanente che abbia come obiettivo principale quello di monitorare la crisi del commercio con particolare riferimento al settore terziario, come proposto recentemente dall’assessore regionale alle Attività Produttive, Marco Venturi. Un percorso virtuoso da intraprendere subito d’intesa con le forze sociali perché i problemi del commercio sono sovrapponibili a tutti gli altri settori produttivi dell’economia siciliana, tali da suggerire risposte organiche e urgenti tenendo conto che i lavoratori vanno  considerati una risorsa su cui investire e non certo un problema. Nel corso dei primi mesi del 2012 la tendenza negativa  è andata ancora più accentuandosi: 3 mila 337 esercizi commerciali hanno chiuso i battenti, con una stima che potrebbe toccare, alla fine dell’anno, quota 13 mila 400 fra fallimenti o chiusure di imprese dedite al commercio. Anche quest’anno il settore più colpito è quello del commercio al dettaglio, seguono le imprese di vendita all’ingrosso e quelle di commercio all’ingrosso e al dettaglio .

Secondo lei, ha senso intraprendere nuove start up, oggi, nella sua Regione?
Ha senso sicuramente e non solo perché abbiamo il dovere di fare professione d’ottimismo. Ha senso perché ci sono  grandi potenzialità da sfruttare in questa meravigliosa terra, perché esistono le condizioni per utilizzare le opportunità che vengono offerte dalle misure a sostegno delle nuove imprese e perché abbiamo un grande patrimonio sociale da mettere a valore se sappiamo motivare le nuove generazioni che aspettano segnali incoraggianti per organizzare insieme la speranza del territorio.

 

Paola PERFETTI