I commercialisti e i Panama Papers

I commercialisti e i Panama Papers

I commercialisti italiani sono intervenuti nei giorni scorsi sul caso Panama Papers, condannando duramente gli evasori, o presunti tali, i cui nomi sono usciti dalle carte dello studio Mossack Fonseca e ricordando, invece, l’opportunità della voluntary disclosure.

Chi si è affidato a cinici consiglieri fraudolenti e, non avvalendosi della voluntary discolsure, ha spostato le proprie disponibilità da Ginevra a Panama è sciocco e volgare – ha infatti dichiarato il presidente dei commercialisti, Gerardo Longobardi, nel corso di un convegno sulla lotta all’evasione -. Dovrebbe essere consapevole che dal 30 settembre 2015 per schivare il reato di autoriciclaggio potrà sì utilizzare le disponibilità economiche non oggetto di voluntary a Panama, ma solo per pagarsi le vacanze in quello Stato caraibico, o per metterle dentro un pouf, seguendo un noto esempio di cronaca degli Anni ’90”.

La voluntary disclosure approvata dal Parlamento italiano e terminata nel dicembre dello scorso anno – ha proseguito il presidente dei commercialistiè stata l’ultima spiaggia per chi deteneva disponibilità finanziarie all’estero, e mal gliene incolse a chi non ha aderito, restando insensibile ai molti appelli che anche la nostra categoria ha lanciato nei mesi scorsi”.

Longobardi ha ricordato poi come “da qualche anno a questa parte la sensibilità internazionale ha cambiato atteggiamento verso l’occultamento di ricchezze nei paradisi fiscali. Questi ultimi sono divenuti di fatto una nuova categoria di Stati canaglia”.

Secondo il presidente dei commercialistiper evitare il ripetersi a livello nazionale e internazionale di fenomeni di occultamento di ricchezze non dichiarate, è evidente che, nell’immediato occorre proseguire e, semmai, rafforzare il percorso intrapreso già da qualche anno dall’Ocse circa gli standard sullo scambio automatico di informazioni tra Stati. A ciò va aggiunta un’azione incisiva sulla transparency bancaria, ossia sulle regole che impongono alle banche di verificare la trasparenza della titolarità e della provenienza dei fondi da loro gestiti”.

Questa maggiore trasparenza – ha proseguito Longobardisi tramuterebbe in una maggiore tutela del risparmio nonché dell’economia ‘pulita’. In tal modo si genererebbero dei circuiti finanziari trasparenti (di serie A) contrapposti ai residuali circuiti finanziari non trasparenti (di serie B), in cui potrebbero rafforzarsi le misure speciali di contrasto all’economia illecita”.

L’obiettivo a cui tendere, ha concluso il presidente dei commercialisti italiani, è “un sistema di piena libertà economica a condizione di una totale trasparenza, che premi i comportamenti fully compliant, vale a dire i comportamenti rispettosi delle regole”.