Mercato del lavoro e flessibilità? Incompatibili

Mercato del lavoro e flessibilità? Incompatibili

Il mercato del lavoro italiano non è certo uno dei più elastici in Europa. Sono diversi i fattori che contribuiscono alla sua rigidità e molti gli aspetti di modernità che ancora gli mancano per poter fare il salto di qualità di cui ha bisogno.

Uno dei campi nei quali si misura il ritardo dell’Italia è quello del lavoro flessibile, come testimoniato dalla survey Future People: Le postazioni di lavoro nell’era della trasformazione digitale, realizzata da Cornerstone OnDemand e IDC e svolta sul mercato del lavoro di 16 Paesi europei.

L’indagine ha analizzato il mercato del lavoro di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia Spagna, Svezia e Svizzera e ha posizionato il nostro Paese al decimo posto per quanto riguarda la capacità delle nostre imprese di implementare policy di digitalizzazione a favore della flessibilità di orari e spazi di lavoro. Una scarsa attenzione che porta i dipendenti italiani a raccomandare il proprio posto di lavoro solo nel 59% dei casi, contro una media europea del 71%.

In sostanza, il mercato del lavoro rigido ed eccessivamente regolamentato presente nel nostro Paese fa sì che le imprese di casa nostra diano poco valore al lavoro flessibile, senza comprendere le potenzialità che esso ha per il benessere dei dipendenti.

Secondo la survey, le imprese italiane si pongono dunque sul mercato del lavoro con percentuali non all’altezza per quanto riguarda alcuni aspetti determinanti nel campo della flessibilità lavorativa. Nello specifico solo il 67% di loro propone attività ricreative sul posto di lavoro, uno scarso 58% mette a disposizione postazioni di lavoro flessibili, il 66% si serve di open space, il 69% utilizza sistemi IT accessibili da nuovi device e il 76% attua orari flessibili. Percentuale dignitosa solo sul fronte della mobilità interna: 86%.

Conclude il quadro poco edificante la scarsa importanza che le imprese italiane attribuiscono, nelle loro policy, alla condivisione e alla collaborazione: solo il 53% dei dipendenti è incoraggiato ad assumersi nuove responsabilità, il 51% è stimolato a condividere la conoscenza o viene coinvolto nei processi decisionali aziendali e a un misero 43% è spinto sono affidate decisioni importanti da prendere in autonomia.