BARACCA&BURATTINI – Bossi, il volpone, lo sa: meglio avere un banchiere piuttosto che una banca

di Gianni GAMBAROTTA

Negli ambienti finanziari e bancari italiani si trovano alcuni manager di valore, un certo numero di mascalzoni e una quantità incalcolabile di mezze figure. È raro incontrare fra tutti questi grigi signori qualcuno che sia simpatico, sappia comunicare, intrattenere piacevolmente un uditorio anche su temi ostici come quelli legati al denaro. Uno sicuramente c’è: si chiama Massimo Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano. I quotidiani si sono occupati di lui nei giorni scorsi perché subito dopo il vertice della Lega di fine anno a Calalzo di Cadore culminato con la “cena degli ossi” fra tutti i fedelissimi del Carroccio, il leader Umberto Bossi ha intrattenuto proprio il banchiere in un lungo colloquio notturno. Suscitando l’invidia dell’entourage del leader delle camicie verdi e una dichiarazione ostile del segretario provinciale del Pd, Maurizio Martina, nei confronti di Ponzellini: “Stare al summit della Lega è inopportuno – ha detto –. La Bpm non è di Bossi, ma dei milanesi“.

E milanese Ponzellini non è, ma di Bologna. Suo padre Luigi, per 40 anni membro del consiglio superiore di Bankitalia, era amico del padre di Renato Pagliaro, attuale presidente di Mediobanca. Nascita giusta, dunque, e amicizie giuste. Così come giusta è la moglie, Maria Segafredo, della dinastia del caffè.  Discutibili invece – dal punto di vista del suo attuale posizionamento – i suoi primi legami politici: è stato amico e assistente di Romano Prodi che lo ha ricompensato con vari incarichi importanti.

Oggi Ponzellini fa tante cose. Partecipa al comitato di esperti che affiancano l’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) nei suoi investimenti finanziari; è presidente di Impregilo, la società di costruzioni controllata al 33 per cento ciascuno dai gruppi Benetton, Gavio e Ligresti; ed è appunto presidente della Popolare Milano. Queste ultime due cariche hanno suscitato accese polemiche: come può – si sono chiesti in molti – il numero uno di un istituto erogatore di credito essere anche a capo di un’impresa, l’Impregilo, affamata di credito tanto quanto i suoi azionisti? “Può” è stata la risposta di chi lo ha portato ai vertici della Popolare con l’appoggio aperto della Lega e quello più discreto di Giulio Tremonti.

La sua presenza alla “cena degli ossi” (allo stesso tavolo sedeva anche il ministro dell’Economia) dimostra che questo legame politico oggi è più saldo che mai. Bossi ha detto apertamente che Ponzellini è una sua creatura: “L’ho scelto io quando c’era da fare la nomina alla Bpm“. Nel 2005, ai tempi delle scalate (poi fallite) dei furbetti e dei loro amici, Piero Fassino, allora segretario del Pd, chiedeva a Giovanni Consorte, il capo dell’Unipol che tentava l’assalto alla Bnl. “Abbiamo una banca?“. Bossi, politico di razza, sa che spesso basta avere un banchiere.