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AAA, giovani imprenditori cercansi. Invano…

di Davide PASSONI

Partiamo da una notizia pubblicata nei giorni scorsi su Infoiva che ha creato un buon dibattito tra i nostri fan su Facebook: pare che in Italia diminuisca il numero di imprenditori under 30 mentre aumentano quelli over 70. Secondo Unioncamere, promotore della ricerca dalla quale è emersa questa tendenza, si tratta di un riflesso del trend demografico del Paese sulla struttura portante della nostra economia. Siamo sicuri che sia soltanto questo? O meglio, perché, stando a queste cifre, i giovani italiani scelgono di non essere imprenditori?

Togliamo subito di mezzo un equivoco: noi non siamo di quelli che vedono le nuove generazioni come svogliate, incapaci di accollarsi responsabilità personali e sociali, impegnate solo nel rimandare sine die l’uscita dal nido genitoriale. Insomma, per noi l’equazione di padoaschioppana memoria “30enne = bamboccione” non esiste. Prova ne è il fatto che, almeno nel campo della cosiddetta new economy e dei nuovi media, le idee imprenditoriali vincenti che hanno preso il via da giovani capaci ed entusiasti ci sono.

Pensiamo invece che l’accesso all’imprenditorialità da parte dei giovani sia in calo perché scoraggiato da più fattori, tre dei quali pesano più di altri.

1- La giungla normativa – e perdonateci se abbiamo questo chiodo fisso – che accoglie oggi chi vuole aprire un’attività, piccola o grande che sia. Stiamo ancora aspettando che il governo batta un colpo in tal senso – al di là del fatto che è stato più facile portare Ibrahimovic al Milan che indicare il nuovo ministro dello Sviluppo Economico – e che si vada oltre i proclami. Rimettere al centro della sua azione la politica economica, come chiesto con forza da Napolitano nei giorni scorsi, significa anche semplificare.

2- Un accesso al credito per nulla facile, che impone molte più garanzie di quelle che gli istituti stessi, a parti invertite, sarebbero in grado di onorare. Per quanto sia vero che negli ultimi anni le cose sono migliorate, c’è ancora tanto da lavorare.

3- Una preparazione accademica che in realtà, salvo poche eccezioni, non prepara in maniera efficace l’ingresso al mondo del lavoro tanto da dipendente quanto da imprenditore. Non a caso, molta imprenditoria giovanile si è formata direttamente sul campo più che nelle aule universitarie.

Risultato: come ben sintetizzato dal titolo del nostro articolo, “L’Italia è un Paese per vecchi (imprenditori)” e, come ben sintetizzato da alcuni nostri lettori “tocca darsi una mossa”.

E voi, siete giovani imprenditori e volete raccontarci la vostra storia? Oppure avreste voluto esserlo ma avete mollato il colpo? O ancora, vorreste diventare imprenditori ma avete dubbi e timori? Scriveteci, parlate: su Infoiva vi daremo spazio, sempre.

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