Esistono oramai da anni anche in Italia associazioni di categoria che certificano gli iscritti e hanno un codice deontologico. Purtroppo non fanno massa. Dipendono molto dalle scuole di formazione di coaching (poche eccellenti, molte evanescenti) e non sempre si rivolgono a tutti i potenziali clienti, ma solo a quelli che in teoria fanno “nome”. Ma questi il coaching se lo fanno in casa, molte volte, o accedono al mercato internazionale. Credo che dovrebbero agire più sulle associazioni di categoria, camere di commercio, sindacati, unioni industriali provinciali, incubatori di start-up. Utile l’aggiornamento che propongono, ma ancora più utile sarebbe una chiara distinzione fra chi esercita operativamente con i clienti e chi insegna coaching.
In Italia il mercato, lo dicono i numeri è ancora in fase di sviluppo. I professionisti eccellenti ci sono (cercateli con cura) e si confrontano anche a livello internazionale. Ma vige ancora un po’ la vecchia formula italiana “chi fa da sé fa per tre”. Le associazioni dovrebbero unirsi e fare focus. A volte mi sembra che abbiano bisogno di un buon business coach per sviluppare un piano con obiettivi veloci, misurabili e duraturi.
Il mercato incalza, i clienti sono più esigenti e quindi sono del tutto ottimista che nei prossimi 2 anni vedremo il “business coaching d.C.”- per parafrasare Marchionne – espandersi tramite professionisti preparati.
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