Intervista all’on. Raffaello Vignali, promotore dello “Statuto delle imprese”

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di Davide PASSONI

Photo AglaiaQuesta settimana, per la prima volta, la rubrica Controcanto ospita una intervista. Fatevene una ragione: al direttore piace scrivere, piace parlare, piace dire la propria, ma a volte lascia agli altri questo compito, specialmente se ciò che hanno da raccontare è di qualche interesse per voi lettori.

Dopo la lettera-verità della scorsa settimana, con lo sfogo amaro di una professionista vittima di uno squallido subordinato, oggi tocca a un politico. Non storcete il naso, dai: a volte la politica italiana sa offrire qualcosa di molto diverso dal teatrino degli ultimi mesi, culminato con la grand soirée del 14 dicembre sul palcoscenico di Montecitorio. E lo offre anche nel campo dell’economia e del sostegno alle Pmi. La voce che ascoltiamo è di un esponente del Pdl che proprio alle Pmi ha sempre guardato con estrema attenzione, l’on. Raffaello Vignali.

A tutti coloro che sono pronti ad alzare il ditino lo dico e lo ripeto subito: Infoiva non ha colore politico e il fatto che oggi parli sulle sue pagine un esponente dell’attuale “maggioranza” (mi si passino le virgolette…) è perché, come avete letto qualche riga più su, ha da dire cose di un certo interesse per chi legge. Anche all’opposizione ci sono proposte e idee valide per sostenere e rilanciare il nostro tessuto produttivo ed economico; ascolteremo anche loro, senza dubbio, perché quello che ci interessa è l’Italia che produce e che propone, non quella che chiacchiera, e questa Italia c’è anche da una parte all’altra del nostro arco costituzionale. Noi abbiamo messo da parte i pregiudizi: fatelo anche voi e ascoltate senza filtri tutti coloro ai quali Infoiva vorrà dare voce. Oggi tocca all’on. Vignali.

Data l’attenzione che da sempre rivolge al mondo delle PMI, quali sono secondo lei gli ambiti su cui intervenire più urgentemente per “liberare” le imprese italiane e ridare loro slancio e competitività? Fiscalità, accesso al credito, costo del lavoro o che altro?
La prima condizione è un cambiamento culturale: passare dal sospetto alla fiducia verso chi fa impresa. Se si parte dal sospetto vengono posti migliaia di lacci e laccioli e pure tasse. Partendo dalla consapevolezza che chi fa impresa costruisce il bene per tutti, le cose cambiano. Detto questo, le prime cose che chiedono le imprese, soprattutto le piccole, non sono gli incentivi ma, piuttosto, semplificazione e tutela. Semplificazione: ovvero le norme che servono, e non una di più, tempi certi nella risposta da parte della PA e norme a misura di impresa (non pensate sulla taglia delle grandi aziende). Tutela significa difendere chi produce rispettando le norme. La Camera di Commercio di Milano stima in 10 miliardi di euro all’anno il mercato della contraffazione per la sola Lombardia. Il contrasto a questo fenomeno può farlo solo lo Stato. Nei prossimi giorni il Ministro Romani insedierà il Consiglio Nazionale Anti Contraffazione e chiederà ai nove Ministeri coinvolti – e ai soggetti che da loro dipendono – di intensificare il contrasto a questo fenomeno, utilizzando tutti gli strumenti a nostra disposizione. Anche a Bruxelles stiamo lavorando per approvare il regolamento “made in” che prevede l’obbligo di tracciabilità per tutte le merci che vengono importate in Europa. Poi speriamo che le condizioni dell’economia ci consentano di abbassare le tasse, perché abbiamo bisogno di lasciare più risorse nelle imprese per gli investimenti.

Quali sono le proposte e le iniziative che lei ha elaborato durante la sua esperienza parlamentare a sostegno delle imprese e dell’imprenditorialità?
In questi due anni ho lavorato su questi aspetti, sia intervenendo sui disegni di legge che passavano al Parlamento, sia con le proposte di legge per “l’impresa in un click” e – soprattutto – con quella che porta un titolo significativo “Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese”, che nelle prossime settimane approderà in Aula a Montecitorio. Lo Statuto allarga i principi dello Small Business Act dell’Unione Europea e li trasforma in diritti per le imprese.

Per l’economia italiana è più dannosa la crisi globale dalla quale ancora stenta a uscire o l’incertezza del quadro politico nazionale? Perché?
La cosa più dannosa è quella denunciata poco tempo fa da Giuseppe De Rita in occasione della presentazione del rapporto del Censis, ovvero la mancanza di desiderio, che riguarda tutto il Paese. Il desiderio è come la scintilla con cui si accende il motore, perché è ciò che rende protagonisti, che permette di rischiare per costruire. L’opposto del desiderio sono la sazietà e la mancanza di speranza. Nella mia regione, la Lombardia, in questi mesi sono più le imprese che hanno chiuso per mancata successione di quelle che hanno chiuso per la crisi… Quanto alla politica, il rischio che vedo è quello dell’astrazione, la separazione dalla realtà; se si è astratti non vengono assunte responsabilità, si segue solo il consenso immediato, cioè le mode. Di fronte alle sfide che abbiamo davanti, servirebbe invece responsabilità come sta chiedendo, inascoltato, il Presidente Berlusconi. Anche i media non aiutano, presentando solo il negativo, la rissa o un Paese visto morbosamente dal buco della serratura. Aspetto da anni di vedere raccontata in prima serata Rai una piccola impresa che innova, che va all’estero, che non licenzia, che resiste. Eppure sono la stragrande maggioranza, sono milioni…

Secondo lei c’è un Paese in Europa, oggi, al quale possiamo guardare come modello virtuoso per la gestione della fiscalità? Se sì, qual è? Se no, perché non ce ne sono?
A me piace il sistema fiscale irlandese, che prevede una tassazione flat al 12,5 per cento. Anni fa era al 50 per cento e quando hanno abbassato le tasse, nei tre anni successivi il gettito fiscale è triplicato. La crisi dell’Irlanda non è imputabile al sistema fiscale, ma alla trappola della finanza creativa. Nei giorni scorsi abbiamo visto tutti il braccio di ferro che ha fatto con la UE, che le chiedeva di aumentare le tasse per coprire il deficit; l’Irlanda si è detta piuttosto disposta a rifiutare l’aiuto europeo che a manovrare il fisco in senso peggiorativo. Hanno ragione gli Irlandesi, perché considerano la crescita fattore essenziale della stabilità.

Se vuole, legga con attenzione la testimonianza riportata in questo link. Che cosa può fare la politica per tutelare il patrimonio di capacità, volontà, idee e ricchezza che i liberi professionisti portano quotidianamente all’Italia e alla sua economia e che spesso viene ignorato se non calpestato?
Intanto va detto che il caso in questione è anomalo: si tratta di una elusione delle norme sul lavoro. Quando si è in regime di monocommittenza, con un orario minimo fisso di 8 ore, non si può parlare di libera professione, ma di un grave errore da parte dello studio professionale. Si fa aprire la partita Iva a una persona che svolge un lavoro subordinato, riducendo il costo del lavoro al 20 per cento, Irap compresa: siamo nel campo dell’irregolarità. Detto questo, vale per le partite iva quello che vale per le piccole imprese, quali sono a tutti gli effetti. Si può lavorare a più livelli. A me piace molto la legge francese sulla microimpresa fatta dal Ministro dell’Economia e ne stiamo presentando una versione italiana alla Camera. Lo Statuto delle Imprese, poi, riconosce alle certificazioni rese dai professionisti un ruolo alternativo a quello del controllo da parte della PA.

La missione principale della nostra testata è quella di trasmettere ottimismo al “popolo delle partite IVA”: da parlamentare della Repubblica, lanci il suo messaggio di ottimismo perché questo “popolo” continui a credere nelle potenzialità del nostro Paese.
Guardare il positivo che c’è, a cominciare dal desiderio di essere protagonisti della propria vita. Siamo un popolo straordinario, che nella difficoltà riesce a tirar fuori il meglio di sé. Non dobbiamo avere paura della vita. E dobbiamo fare rete tra chi vive quotidianamente il proprio impegno con senso di responsabilità.

Photo: AGLAIA