Quasi la metà delle aziende (il 44%) risente ancora della crisi e solo per l’1% degli intervistati gli effetti sono stati positivi. Una situazione di stallo che si riflette anche sulle scelte future. Una su quattro (il 26%) effettuerà minori investimenti nel medio-lungo periodo rispetto al 17% dello scorso ottobre. Il 69% investirà invece nella stessa misura e solo il 3% destinerà nuove risorse per lo sviluppo rispetto al 5% registrato nello scorso autunno.
Primo problema registrato è la diminuzione del fatturato e degli ordinativi (30%). Per il 6%, invece, si è dovuto ricorrere all’aumento della dilazione dei pagamenti dei clienti o dei committenti o ha costretto l’impresa a una riduzione del personale. E sono preoccupati: l’87% guarda con timore alla propria attività, ma per la quasi totalità degli imprenditori (il 96%) l’ombra più minacciosa è la situazione del Paese.
Se ormai la concorrenza cinese non è più così preoccupante, il primo allarme è il costo del lavoro (17%), seguito dall’evasione fiscale (16%), dalla qualità della classe politica italiana (14%), dall’immancabile burocrazia (13%) e dall’inefficienza della pubblica amministrazione (7%).
Costi delle materie prime, burocrazia, risorse umane e la struttura dimensionale dell’azienda sono problemi duri da affrontare, così come l’innovazione e la necessaria internazionalizzazione. Permane dunque una forte preoccupazione. “È la fotografia di una situazione di difficoltà che si protrae e che non sembra avere mai fine – sottolinea Laura Vescovo, responsabile Ricerche e sondaggi del gruppo Intesa Sanpaolo –. A ottobre si era notato qualche barlume di speranza, ma oggi è tornato a prevalere uno stato d’animo negativo». Non si investe solo per scarsa disponibilità, ma anche per l’incertezza dell’economia. C’è il timore – aggiunge Vescovo – che la crisi diventi la normalità“.
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