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Orafi penalizzati dalla scomparsa dell’ICE

di Vera MORETTI

Gli studi di settore permettono di capire l’andamento dell’economia italiana in ogni ambito commerciale ma, come proposto da Confindustria FederOrafi, per questo particolare settore occorrerebbe distinguere tra commercio al dettaglio, che comprende 22.000 negozi di vendita di oreficeria/gioielleria, e il comparto produttivo, con oltre 10.000 imprese e 50.000 dipendenti che vanta il sesto saldo commerciale attivo con l’estero.

Licia Mattioli, presidente di Confindustria FederOrafi, ha presentato, a questo proposito, un testo nel quale, oltre a presentare tale richiesta, viene fatto un bilancio dell’andamento produttivo.

La crisi si è fatta sentire, causando, tra il 2005 e il 2010, un abbassamento del quantitativo di oro lavorato del 58%. Se, infatti, nel 2001, si trasformavano in gioielli quasi 500 tonnellate di oro, nel 2010 le tonnellate erano scese a 116. Conseguenza di ciò, è stata la riduzione non solo della produzione, ma anche di addetti, tanto che molti sono statti mandati in cassa integrazione, e delle imprese, alcune delle quali hanno subito pensatissime perdite.

Considerando che da sette mesi orami in Italia non esiste più l’ICE, che aveva come compito principale quello di aiutare le imprese, soprattutto PMI, nell’internazionalizzazione, il rischio di rimanere indietro rispetto gli altri Paesi è concreto. A questo, poi, si aggiunge l’aumento dei prezzi delle materie prime, che negli ultimi due anni ha visto l’oro aumentare del 60%, l’argento del 142% e il platino del 41%.

Dice la Mattioli: “Le imprese non stanno a guardare ma stanno reagendo per rilanciarsi sul mercato interno e su quelli internazionali (l’Italia esporta il 70%), investendo in nuovi prodotti, in innovazione tecnologica, in ricerca e sviluppo. Per evitare un’indiscriminata, dannosa e generalizzata “caccia alle streghe” bisogna quindi leggere bene i numeri. L’evasione va combattuta e l’Agenzia delle Entrate ha i mezzi e le competenze per affrontarla all’interno però di un contesto di regole fiscali chiare, certe, non vessatorie e, soprattutto, armonizzate almeno a livello dei 27 Paesi dell’Unione Europea per non creare ulteriori discriminazioni per i gioielli made in Italy“.

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