di Davide PASSONI
Ecco, ci mancava solo questo. A Milano un tassista che ha osato trasportare un cliente, nonostante lo stato di agitazione spontaneo in atto per protestare contro la liberalizzazione delle licenze delle auto bianche, è stato malmenato e derubato dei 50 euro dell’incasso della corsa da alcuni colleghi. Che, per non farsi mancare nulla, gli hanno anche danneggiato l’auto. Una follia. Una roba da Anni ’70, quando i picchetti nelle fabbriche non andavano tanto per le spicce per impedire ai cosiddetti “crumiri” di mettersi al lavoro nonostante gli scioperi.
Peccato che qui nemmeno si parla di sciopero. Peccato che viviamo in un Paese nel quale il dissenso e la dialettica dovrebbero essere accettati e incentivati, non tollerati o combattuti. Peccato che magari il tassista preso a cazzotti era anche d’accordo con le ragioni dell’agitazione, ma magari, fatti due conti, aveva deciso che una corsa in più poteva significare due pacchi di pannolini per suo figlio o la somma necessaria per pagare l’ultima bolletta dell’Enel. E che l’agitazione, per mezza mattina, poteva anche venire dopo le necessità del budget familiare. Magari, o magari no.
Resta il fatto che un episodio del genere, messo in atto da un manipolo di deficienti, non fa altro che dimostrare come, in Italia, la logica da Curva Sud vs. Curva Nord sia dura a morire; come una certa mentalità Anni ’70 non sia mai morta del tutto; come le ragioni di determinate categorie professionali – additate a torto come se fossero le responsabili dei mail dell’Italia – per quanto condivisibili vengano mortificate dal loro oltranzismo e celodurismo.
Come al solito, in Italia, chi in piazza urla di più ha più ragione degli altri. Una logica inconcepibile che, purtroppo, è già passata. Che non passi anche il concetto che chi mena di più ha più ragione: lo abbiamo già vissuto, si chiama terrorismo. E ha perso. E, ora come allora, pagano i più deboli e gli innocenti. Anche solo per 50 euro.
Foto ANSA/GUIDO MONTANI
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