La ceramica che non si arrende

 

C’è una regione in Italia, che più di tutte è protagonista della creazione e della produzione di ceramica: l’Emilia Romagna, sede del più grande distretto industriale dove viene prodotto circa l’80% delle ceramiche, terra di tradizione dove l’industria è soprattutto realtà di filiera, dalla materia prima al prodotto finito. Una terra ferita però nel profondo dai recenti eventi sismici che lo scorso maggio hanno colpito la zona, mettendo in ginocchio imprese e intere realtà industriali.

Infoiva quest’oggi vuole raccontare la storia di un’eccellenza del made in Italy, attraverso la voce di Filippo Manuzzi, brand manager di Ceramica Sant’Agostino, una delle realtà imprenditoriali più grandi e competitive dell’Emilia. Un’azienda che ha fatto della costante spinta alla ricerca e all’innovazione il cuore della sua filiera produttiva, e che ha saputo rinascere, rimboccandosi le maniche e guardando sempre al domani, dopo il terremoto che l’ha piegata il 20 maggio 2012.

Il successo del Salone Cersaie conferma che l’industria della ceramica in Italia non teme la crisi. Confermate questa proiezione?
Si, anche se vanno sottolineate le differenze sostanziali tra la domanda del mercato italiano e la richiesta che viene dall’estero.

E a proposito del settore dell’export di ceramica, nei primi 6 mesi del 2012 i dati dicono si sia attestato a quasi 1 miliardo e 900 milioni di euro. Quanto conta per la vostra azienda il mercato dell’export?
Il mercato dell’export riguarda circa il 60% del prodotto annuo. I compratori stranieri scelgono le ceramiche italiane perché trovano nel prodotto italiano caratteristiche superiori in termini di design, ricerca estetica e tecnologica, innovazione, ovvero tutto ciò che fa del prodotto made in Italy un prodotto di qualità. Fino a qualche anno fa il nostro mercato era quasi esclusivamente interno, che resta per noi un mercato molto importante, va detto però che l’Italia sta attraversando un periodo di stagnazione e di calo della domanda nazionale. L’apertura verso i mercati esteri e la richiesta che viene da Paesi lontani ci ha permesso in questa sfortunata congiuntura economica di mantenere volumi e quantità: è stata una scelta strategica.

Quali sono i maggiori Paesi dove esportate le vostre produzioni?
Esportiamo soprattutto in Europa, nel Nord America, in Russia e alcuni Paesi del Medio Oriente, Emirati Arabi, Libano e Arabia Saudita in primis, e poi naturalmente una fetta importante dell’export è indirizzata all’Estremo Oriente: Hong Kong, Thailandia e Cina.

Temete la concorrenza dei Paesi produttori di ceramica esteri, Cina in particolare?
E’ talmente ampio il divario tra i livelli produttivi italiani, sia in termini di materiali che di tecnologia e design, rispetto alla media dei produttori dell’estremo Oriente, che onestamente non vedo pericoli reali e concreti.

Ceramica Sant’Agostino, un’azienda e una storia interamente made in Italy. Come è iniziata? Qual è il suo valore aggiunto guadagnato nel tempo?
L’azienda è stata fondata da mio nonno nel 1964 a Ferrara, un distretto produttivo extra-ceramico: una scelta in controtendenza per l’epoca che si è rivelata vincente perché ha consentito all’azienda di sviluppare negli anni una forte autonomia progettuale e una visione originale e innovativa in termini di ricerca e di prodotto. Io appartengo alla terza generazione dell’azienda, assieme a mio fratello e mio cugino, mentre la seconda generazione è rappresentata da mio padre e mio zio rispettivamente presidente e vicepresidente di Ceramica Sant’Agostino, e gestiscono la parte strategica dell’azienda. Ceramica Sant’Agostino è un’azienda estremamente trasversale la cui produzione è mutata adattandosi alle esigenze di un mondo che è fortemente cambiato da qui a 50 anni fa: da un’impresa piccola e fortemente centralizzata sul mercato italiano, l’azienda ha esteso la sua rete di contatti, aprendosi ad un network più strategico, con uno sguardo maggiormente rivolto ai mercati internazionali. Non solo, da una produzione più tipicamente ‘classica’, l’azienda ha intrapreso anche altri percorsi aprendosi a collaborazione con designer e creativi: l’ultimo esempio è la partnership presentata all’ultimo Cersaie con Philippe Starck, che testimonia la volontà di orientarci maggiormente al design e alla ricerca, puntando su prodotti di alta gamma. La capacità di innovare in termini di ricerca tecnologica e estetica è l’unica cosa che può dare continuità alle aziende che oggi producono in Italia e vogliono esportare nel mondo.

Un’industria che non si arrende. Il sisma dello scorso maggio ha colpito profondamente le aziende del distretto. Quale è stata la vostra reazione immediata? Come si ricomincia?
Siamo stati l’azienda più colpita dalla prima scossa del 20 maggio scorso, con un bilancio tragico di 2 vittime e numerosi crolli. Il distretto ceramico è stato colpito in misura minore e ha interessato solo alcune aziende di Finale Emilia e della bassa modenese. Abbiamo reagito nell’unico modo possibile, ovvero rimboccandoci le maniche, con tempi e la velocità che il mercato richiede, tenendo contatti e rapporti con la nostra clientela, e facendo ripartire la produzione, anche se solo al 25%, già da metà luglio, ovvero due mesi dopo il sisma.

Nei giorni scorsi, i principali quotidiani nazionali hanno riportato la notizia di una mancata erogazione dei fondi raccolti dopo il sisma e destinati a ridare ossigeno alla zona. Avete riscontrato ritardi negli aiuti? Quali difficoltà avete incontrato?
La ricostruzione è stata fatta interamente in autofinanziamento, sono usciti dei bandi della Regione e vedremo in futuro come accedervi.

Come vedete il vostro futuro?
Noi crediamo che se i mercati continueranno a tenere nei prossimi mesi e la nostra azienda riuscirà a mantenere delle buone quote di mercato e a ripartire  con la parte restante della produzione, raggiungendo la quota del 75% della capacità produttiva pre sisma entro fine anno, ce la faremo a superare questa burrasca.

Alessia CASIRAGHI