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Il male d’Italia? Non sono i liberi professionisti

I liberi professionisti, alla luce di quanto sentito e letto negli ultimi giorni, e che descriverebbe la libera professione come il vero male d’Italia, non sono stati a guardare e, anzi, hanno sentito il bisogno di difendere la propria posizione.

E’ quanto ha fatto Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, il quale ha redatto un intervento che non vuole essere una polemica risposta a chi ha commentato in negativo la tanto agognata riforma delle professioni, ma, piuttosto, una chiarificazione del ruolo dei professionisti nel nostro Paese.

De Luca si scaglia contro le amministrazioni pubbliche, considerate tutt’altro che attendibili e precise, ma anche contro mercato dell’energia, trasporti e servizi bancari, colpevoli di aver vacillato parecchie volte, e non in tempi troppo remoti.
E poi fa esempi concreti, accompagnati da cifre e dati che non lasciano repliche: la liberalizzazione selvaggia, infatti, ha mietuto vittime illustri, come le edicole, costrette a chiudere in un numero di oltre duemila perché “rilasciare in modo indiscriminato nuove autorizzazioni per la vendita dei giornali non fa né diminuire il prezzo né aumentare il numero di copie vendute e così come è avvenuto per qualsiasi altro settore oggetto di liberalizzazioni, l’unico risultato raggiunto è quello della chiusura dei piccoli in favore dei grandi“.

Ma i numeri riguardano anche aspetti positivi, soprattutto quando De Luca si riferisce ai circa 2.300.000 professionisti iscritti ad Ordini e Collegi professionali, e che garantiscono al Paese circa il 16% del PIL.
Di questi, la maggior parte rappresenta, per l’Agenzia delle Entrate, la più ampia fetta di contribuenti, mentre gli evasori sono “nascosti” soprattutto nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio (quasi il 25% del totale), delle costruzioni edili (circa il 22%), delle attività manifatturiere (11%) e solo nel 5% dei casi nel mondo delle attività professionali.

Tutto ciò contro i costi della PA, che, a quanto pare, ogni anno toglierebbe dalle casse dello Stato, almeno 50 miliardi di euro.
In questo caso, ciò che grava di più sull’economia del Paese sono non tanto i dipendenti, quanto i relativi stipendi, in particolare quelli degli alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil.
In Spagna, con un valore assoluto pari a 162 mld, si è attestata al 15,9% del Pil, mentre in Austria al 13,8% del Pil con un valore assoluto di 37 mld; in Germania la medesima spesa si è mantenuta all’11,5% del Pil, per un totale di 273 mld.

Un ambito, dunque, che dovrebbe collaborare alla crescita economica del Paese, in realtà sembra rallentarlo, e la colpa è da ricercarsi nella troppa burocratizzazione “dalle autorizzazioni negate ai blocchi per gli adempimenti, dalla richiesta di permessi con attese infinite agli investimenti sfumati dei troppi piani governativi“.

L’intervento di Rosario De Luca si conclude con un grande interrogativo: “Il Paese ancora galleggia tra un’economia che non riparte e riforme, spacciate per fondamentali, che puntano solo a fare cassa. E lo sviluppo? Ancora un lontano miraggio
Ritengo che il Paese abbia bisogno di serietà, di cultura, di sogni ed ambizioni per crescere e tornare a garantire un futuro ai nostri giovani. I professionisti vogliono essere protagonisti di questo cambiamento, e tutti gli altri?
”.

Nella risposta c’è la soluzione ai mali d’Italia.

Vera MORETTI

redazione1

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