L’impresa italiana? La salveranno gli extracomunitari

 

di Davide PASSONI

Qual è la strada maestra da seguire per non far morire l’impresa italiana? Forse ce l’ha indicata Confesercenti con la sua indagine sulle nuove imprese in Italia: affidarsi agli stranieri. Paradossale? No, comprensibile, specialmente alla luce di una tendenza emersa dallo studio; il 44% delle imprese individuali straniere in Italia svolge attività di commercio, il 26% opera nel settore delle costruzioni e il 10% nella manifattura: ebbene, tra questi settori domina il commercio, comparto nel quale gli extracomunitari si sono concentrati su forme di impresa più semplici, nelle quali oneri amministrativi e burocratici in capo all’imprenditore sono minori. Ossia: minore burocrazia, fiscalità meno stringente per produrre maggior reddito e maggiori margini.

Analizzando le fredde cifre di Confesercenti, l’80% delle ditte si concentra nei 3 comparti di cui sopra, dove anche la crescita malgrado la crisi è stata sostenuta: +7,3% per le imprese del commercio, + 3% per le imprese edili, +3,6% per la manifattura (le imprese individuali negli stessi comparti registrano variazioni negative: -0.5%, -1.3%, -2.2%). Nei primi nove mesi del 2012, a un saldo positivo (tra iscrizioni e cessazioni) di 13mila imprese individuali con titolare immigrato, ne corrisponde uno negativo di oltre 24mila unità per le restanti. Nel terzo trimestre di quest’anno, le imprese individuali registrano un saldo positivo di 5mila unità di cui l’85% è dato da imprese di immigrati.

In dieci anni, poi, il peso delle imprese con titolare straniero, sul totale delle imprese italiane, è passato dal 2% a quasi il 9%: nel 2012 gli imprenditori immigrati sono circa 300mila, più 120mila soci stranieri. Dato da sottolineare e su cui riflettere: le imprese gestite da stranieri producono circa il 5,7% della ricchezza del Paese.

Da dove vengono i “salvatori” della piccola impresa italiana? Principalmente dall’Africa, per motivi storici e geografici: Marocco (57mila imprese), Senegal (circa 16mila), Egitto (circa 13mila), Tunisia (12mila). Poi la Cina (quasi 42mila imprese) e l’Albania (oltre 30mila). Nel Nord Italia si concentrano le attività dell’artigianato e i lavoratori dipendenti dalle imprese; al Centro vincono il settore domestico, quello dell’edilizia e il comparto tessile e abbigliamento; al Sud, commercio e lavoro agricolo.

Insomma, analizzando le cifre e trasformandole in tendenze, traspare chiarissimo un fatto: gli imprenditori extracomunitari si stanno dimostrando più furbi dei nostri, provando a combattere la crisi senza cercare performance esaltanti ma puntando alla sopravvivenza in attesa della ripartenza. Questa crisi sta facendo numerosi morti e feriti gravi (in senso figurato): chi sopravviverà, nel momento in cui l’economia tornerà a girare avrà molto più spazio per crescere e aggredire il mercato. Loro sembra che lo abbiano capito, perché come sostiene Confesercenti, la scelta del commercio assicura la stabilità dell’occupazione anche in periodi di crisi offrendo garanzia alla regolarità del soggiorno e si fa espressione della volontà di riscatto da ruoli subalterni.

Venuti nel nostro Paese per salvare se stessi dalla miseria, gli extracomunitari che si fanno imprenditori di trovano nella situazione di essere loro a salvare l’economia italiana. Viva la globalizzazione.