“W l’Italia, dopo otto anni sono finalmente libero” ha affidato il suo testamento a queste poche parole Manuele Barbisan, un foglio bianco abbandonato sotto una bottiglia dietro il bancone del suo bar, prima di impiccarsi nel retrobottega del locale che gestiva in Piazza San Vito a Treviso.
Una piccola attività imprenditoriale, il Caffè la Corte, che da sogno per il futuro di un ragazzo di 37 anni si è trasformato nella sua condanna a morte. I debiti, la paura di non riuscire a far fronte ai pagamenti, i sensi di colpa e la paura di dover ‘scaricare’ le sue angosce e le sue difficoltà economiche sul padre lo hanno strangolato, fino a condurlo alla decisione ultima, tragica ed estrema.
Lunedì notte, invece di tornare a casa, Manuele ha preso le chiavi del bar, si è diretto fino a piazza San Vito e lì, nel retro del suo Caffè, si tolto la vita. Qualche minuto prima aveva inviato un sms alla collega Mara, con scritto “Non aprire domani, lascia stare, ci pensa Mario nel pomeriggio”. Poco prima delle 14 di martedì il suo cadavere è stato rinvenuto nel retro del bar, illuminato dai flash delle foto della polizia scientifica.
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