Per i nuovi acquirenti di immobili, i benefici di imposta sono validi solo se si dimostra di risiedere o di lavorare nel Comune dell’immobile acquistato.
Nonostante ciò fosse chiaro, è stata la Cassazione a ribadirlo, per evitare contenziosi di sorta: i benefici prima casa possono essere elargiti solo in presenza di requisiti soggetti, relativi all’acquirente, e oggettivi, concernenti la natura e l’ubicazione dell’immobile.
Questo significa che le agevolazioni si applicano agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi di nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione relativi alle stesse solo se ricorrono alcune condizioni, tra le quali che l’immobile sia ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività.
La Cassazione si è dovuta pronunciare in merito ad un ricorso presentato da due contribuenti a seguito della revoca dei benefici fiscali “prima casa” ottenuti, ai sensi della normativa richiamata, in occasione dell’acquisto da parte degli stessi di un immobile da destinare a prima abitazione.
Tale revoca era fondata sull’intervenuta decadenza dei contribuenti/ricorrenti dall’agevolazione in esame, in conseguenza del mancato trasferimento della residenza, nel Comune dell’immobile acquistato, nel prescritto termine di diciotto mesi.
Il ricordo è stato respinto in primo grado, ma l’appello successivo è stato invece accolto dai giudici del gravame sul presupposto che i contribuenti/appellanti avessero fornito idonea prova dei requisiti necessari per beneficiare del regime fiscale agevolato, nello specifico, la sussistenza del presupposto fattuale del trasferimento di residenza nei termini normativamente previsti.
Avverso tale pronuncia, l’ufficio finanziario propone ricorso in Cassazione deducendo la violazione e la falsa applicazione della succitata normativa in tema di benefici fiscali “prima casa”.
I giudici di Cassazione hanno ritenuto “insufficiente e illogica” la motivazione della sentenza d’appello, atteso che non contiene gli elementi da cui i giudici del gravame hanno tratto il proprio convincimento logico-giuridico, rendendo di fatto impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento adottato.
Nel caso di specie, infatti, precisa la Cassazione, la sentenza d’appello fa riferimento a una bolletta per la fornitura di energia elettrica resa in termini generici. Questo significa che non vi erano elementi che potessero giustificare il trasferimento di residenza, né era stato chiesto il cambio di domicilio per il nucleo familiare e il relativo trasloco.
Poiché, dunque, è emerso che l’erogazione di energia serviva per la mera esecuzione di lavori edili, l’appello è stato respinto.
Vera MORETTI
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