di Davide PASSONI
Non c’è dubbio, la crisi che stiamo vivendo ormai da anni è una bruttissima bestia, per le famiglie e per le imprese. Non prendeteci per pazzi, però, se diciamo che anche la crisi ha i suoi aspetti positivi: visto che getta migliaia di persone in uno stato di necessità, a tante di queste, come recita il detto popolare, aguzza l’ingegno.
Ecco allora che, per far fronte al bisogno di lavorare contenendo i costi – ma non solo -, prende piede un fenomeno che per noi di Infoiva non è certo nuovo (lo abbiamo cominciato a conoscere e “studiare” nel 2011), ma che la maggior parte dei media comincia a scoprire solo ora: il coworking. Un fenomeno già diffuso da anni negli Usa e in molti Paesi europei.
Citando Wikipedia, visto che siamo digitali, “il coworking è uno stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, mantenendo un’attività indipendente. A differenza del tipico ambiente d’ufficio, coloro che fanno coworking non sono in genere impiegati nella stessa organizzazione. Attrae tipicamente professionisti che lavorano a casa, liberi professionisti o persone che viaggiano frequentemente e finiscono per lavorare in relativo isolamento. L’attività del coworking è il raduno sociale di un gruppo di persone che stanno ancora lavorando in modo indipendente, ma che condividono dei valori e sono interessati alla sinergia che può avvenire lavorando a contatto con persone di talento“.
Una definizione della quale vale la pena sottolineare due passaggi: “attrae liberi professionisti” e “sono interessati alla sinergia che può avvenire lavorando a contatto con persone di talento“. Il primo ci dice che questo nuovo modo di lavorare è fatto principalmente per coloro che compongono lo zoccolo duro dei nostri lettori, i liberi professionisti. Gente per la quale, spesso, tutto il mondo è ufficio (se non hanno uno studio loro, beninteso…) e alla quale, di conseguenza, la crisi ha poco da insegnare sotto questo aspetto. Il secondo esprime, invece, la vera essenza del coworking che, se da un lato è un risparmio in termini di costi, dall’altro è un arricchimento in termini umani e professionali. Lavorare insieme a persone che non fanno lo stesso mestiere ma che hanno voglia e necessità di condividere permette di contaminarsi, scambiarsi idee, visioni, illuminazioni e progetti. In una parola, permette di arricchirsi.
“Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee“, diceva il grande drammaturgo irlandese George Bernard Shaw. E questa è l’essenza e il vero “tesoro nascosto” del coworking: la sua capacità di stimolare e mettere in moto idee, progetti, innovazione. Il suo essere non solo una risposta alla crisi in termini di costi, ma anche e soprattutto in termini di elemento di ripresa. Perché per far tornare a crescere l’economia servono sì capitali ma anche idee nuove. Forse per questo motivo, comuni, regioni, camere di commercio hanno cominciato in questo inizio del 2013 a guardare con interesse al fenomeno erogando finanziamenti, indicendo bandi, promuovendone lo sviluppo. E meno male, diciamo noi, visto che lo abbiamo scritto due righe più su: le idee nuove sono il motore della ripresa, ma senza la benzina dei capitali posso fare ben poco.
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