Tra i settori in maggiore sofferenza per quanto riguarda la produzione industriale italiana ci sono il tessile e l’abbigliamento.
A dare nuova linfa è sempre, e purtroppo solo, l’export, che, dunque, ha permesso di sopravvivere alle aziende caratterizzate da un maggior orientamento ai mercati esteri e da una spiccata capacità innovativa e da cospicui investimenti in ricerca e sviluppo.
A dimostrazione di ciò, attualmente le iniziative d’investimento sono in forte crescita: a marzo 2012 erano presenti in Italia oltre 100 società a partecipazione estera, quando nel 2007, queste erano meno di 30.
Tra i mercati maggiormente interessati alle dinamiche delle aziende italiane, la Cina rimane quella più attenta.
Ad attrarre la clientela cinese sono il design, la qualità dei prodotti e la capacità di valorizzare il territorio. Ma, considerando la crisi finanziaria, è cresciuta anche un certo scetticismo nei confronti delle esportazioni che non si dimostrano più che affidabili.
L’Italia, alla luce di questa tendenza, non può e non vuole stare a guardare, anche se sorge un dubbio circa le motivazioni che spingono i cinesi verso il Made in Italy: è la qualità dei prodotti italiani che ha portato il Belpaese a diventare uno dei principali fornitori della Cina o, piuttosto, la voglia di copiarli e riprodurli?
Per ora, non si può fare altro che affidarsi alla buona fede e prepararsi ad infittire i rapporti con il Paese del Sol Levante, poiché potrebbero portare ad un impennata delle vendite, quanto mai necessaria per la nostra economia.
E’ doveroso sottolineare, però, che questo potrebbe avvenire in particolare per i beni di lusso, la cui produzione continua ad avere base in Europa, proprio perché gli stessi cinesi considerano il Vecchio Continente la patria del lusso.
E a giudicare dalla massiccia presenza di compratori asiatici tra le vie del lusso europee, quadrilatero della moda milanese in testa, non ci sono dubbi su ciò.
Vera MORETTI
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