Chiarimenti sui debiti delle società estinte

Come succede per le persone fisiche, che dopo la loro morte lasciano i beni in eredità ai familiari più stretti, così accade per le società estinte.
La precisazione arriva da una sentenza emanata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, secondo la quale: “Il rapporto che si crea è di tipo successorio e come tale va trattato. Ciò comporta che il creditore possa rivalersi direttamente sui soci nei limiti, però, della responsabilità che avevano durante la vita sociale“.

Ciò significa che anche i debiti contributivi e previdenziali dovranno seguire il preciso iter disposto dalla Cassazione.
Per i debiti tributari, invece, il discorso è diverso, poiché in questo caso sono necessari ulteriori adempimenti a carico dell’amministrazione.

I principi sanciti sono due:

  • i soci succedono alla società estinta nella misura prevista nel precedente rapporto societario;
  • la cancellazione dal registro imprese, che coincide con l’estinzione, impedisce che la società possa agire o essere convenuta in giudizio.

La riforma del diritto societario prevede che quando una società viene cancellata dal registro delle imprese, da soggetto esistente a soggetto inesistente.
Questo significa che la società estinta non esiste più come istituto sostanziale, che porta alla perdita della personalità o soggettività giuridica della società, venendo meno, da quel momento, tutti i diritti e doveri in capo alla stessa, a prescindere dall’eventuale esistenza di rapporti non definiti.

Con la sentenza del 12 marzo 2013, le Sezioni Unite hanno affrontato la problematica dei debiti e dei crediti riguardanti la società cancellata, non definiti nella fase di liquidazione.
L’art. 2495 c.c. prevede una rivalsa da parte dei creditori sia nei confronti dei soci, nella misura in cui questi abbiano riscosso denaro o altri beni, sia nei confronti delliquidatore, qualora il mancato pagamento sia dipeso da quest’ultimo.
Analoga situazione è disposta per le società di persone, con la differenza della responsabilità illimitata conseguente al diverso tipo societario.

I Supremi Giudici rilevano che escludere la successione dei soci nei debiti pregressi porterebbe alla conclusione che la volontaria estinzione dell’ente collettivo imponga un ingiustificato sacrificio del diritto dei creditori, che non potrebbero agire nemmeno nei confronti dei soci. Pertanto, perché tale circostanza non si verifichi è necessario
escludere che la cancellazione dal registro determini la “sparizione” dei debiti insoddisfatti, dovendo quindi necessariamente concludere che ci sia un trasferimento di questi in caso ai successori (soci), fatti salvi i limiti di responsabilità.

Il debito a cui potrebbe essere chiamato a rispondere il socio non si configura come un debito nuovo, ma come lo stesso facente capo alla società prima dell’estinzione.
Il socio della società di capitali risponde limitatamente alla quota ricevuta dal bilancio finale di liquidazione; mentre il socio della società di persone, proprio in conseguenza della diversa caratteristica del tipo societario, ne risponde illimitatamente.
La Corte ha precisato che non esiste alcun pregiudizio ai creditori delle società di capitali, che possono rivalersi su cifre limitate, proprio perché per tipo di società solo la capienza del patrimonio sociale è utile a soddisfare i debiti.

Per quanto riguarda i rapporti attivi, esistono due circostanze diverse:
La prima quando l’attivo sia relativo a crediti o beni liquidabili solo in seguito ad un’ulteriore attività da parte del liquidatore.
Questo è il caso in cui esista un credito senza garanzie nei confronti di un soggetto apparentemente poco solvibile. In questa ipotesi, infatti, è ragionevole ritenere che l’estinzione della società senza svolgere alcuna azione volta al recupero delle somme, può essere interpretata come la volontà di rinunciare al credito privilegiando una rapida conclusione del rapporto estintivo.
La seconda è invece relativa a residui o sopravvenienze sopraggiunti.
In tal caso, la Corte rileva che così come è corretto il subingresso dei soci nei debiti sociali, in perfetta analogia, è evidente che anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale venga a determinarsi un analogo meccanismo successorio. Venendo meno il vincolo sociale, la titolarità dei beni e dei diritti residui o
sopravvenuti si instauri tra i soci medesimi in un regime di comunione, seguendone le relative regole e disposizioni.

Nei casi di debiti di natura tributaria, è stato disposto dalle Sezioni Unite che i soci, che abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due anni precedenti la messa in liquidazione denaro o altri beni, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dalla società cancellata, fatte salve le ulteriori responsabilità previste dal codice civile.
Ai fini tributari, non esiste una successione automatica, ma vige un ulteriore onere probatorio a carico dell’Amministrazione.
Ciò significa che la notifica dell’atto a nome della società cancellata ovvero a nome del socio, ma carente dell’idonea motivazione circa i limiti della responsabilità riscontrata a suo carico, è passibile di nullità.

Il secondo principio chiarito nell’importante pronuncia è relativo all’estinzione con riguardo agli effetti sul giudizio.
La questione affrontata è relativa alla cancellazione della società a causa iniziata. La Corte precisa che una società non più esistente perché cancellata, non può validamente intraprendere una causa né tantomeno esservi convenuta.
Ciò comporta l’inammissibilità dell’impugnazione proposta, in quanto alla cancellazione consegue la “perdita della capacità di stare in giudizio”.

Le Sezioni Unite concludono quindi che quando l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio si determina un evento interruttivo del processo, la cui prosecuzione è possibile solo da parte o nei confronti dei soci. Nel caso, invece, il giudizio si sia concluso senza che tale interruzione sia stata fatta valere, l’eventuale impugnazione della pronuncia deve provenire o essere indirizzata, a pena di inammissibilità, dai soci o nei confronti degli stessi.

Vera MORETTI

redazione1

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