di Davide PASSONI
Che fare impresa in Italia non sia una vocazione ma un martirio è risaputo. Mercato interno bloccato, fiscalità folle, banche che da tempo hanno smesso di essere partner per diventare avversari sono solo alcuni degli ostacoli con i quali l’imprenditore deve lottare ogni giorno.
Ma c’è un mostro che, più di tutti questi messi insieme, spaventa chi fa impresa e fa desistere sul nascere dal diventare imprenditore chi vuole mettersi in proprio: è la burocrazia. Chili e pile di carta per ottenere un’autorizzazione, file e uffici infiniti per avere un timbro, mesi passati ad aspettare invano per poter avere l’ok a costruire un capannone o ad ampliare l’esistente.
I numeri parlano chiaro: la burocrazia costa alle imprese italiane 31 miliardi all’anno. In un momento nel quale di soldi non ce n’è, buttare via in questo modo i pochi che ancora circolano è una bestemmia per chi fa impresa.
Tutto il gran parlare che si fa di digitalizzazione delle pratiche, utilizzo dell’online a scapito della carta, autorizzazioni telematiche per tagliare tempi e costi si riduce, quando va bene, a uno zerovirgola di casi in cui qualcosa funziona e in un novantanovevirgola nei quali siamo alle prese con faldoni e pile di carte bollate da età della pietra.
Questa settimana Infoiva cercherà di capire perché zavorre come queste ancora stanno ai piedi dell’Italia che vuole crescere ma non può. Perché se certi adempimenti burocratici per le imprese sono surreali, gli imprenditori sono invece persone serie e concrete che non vogliono morire di burocrazia. O almeno ci provano.
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