Tra i primati negativi dell’Italia, si aggiunge anche quello di “maglia nera” tra i 34 Paesi Ocse per quanto riguarda la durata dei processi civili: ben 8 anni prima di arrivare al terzo grado di giudizio, contro una media di “soli” 778 giorni.
Proprio questa lungaggine dei processi penalizza, di fatto, lo sviluppo economico del Paese, che dimostra di avere una giustizia civile troppo lenta e non all’altezza dell’Europa, anche nei confronti degli investitori, ai quali non sono garantiti “rispetto dei contratti e la certezza del diritto di proprietà“.
Ciò che manca, secondo l’Ocse, non sono le risorse ma una gestione efficiente dei tribunali, che migliorerebbe con una maggiore informatizzazione: “Molti Paesi non hanno ancora offerto servizi online, come la possibilità per gli avvocati di seguire i casi via web. Investimenti nell’informatizzazione dei tribunali sono correlati a una più alta produttività dei giudici“.
Tra i Paesi che, nel 2010, hanno fatto registrare le migliori performance, c’è il Giappone, con una lunghezza media del primo grado di 107 giorni, e l’Italia fanalino di coda con 564 giorni.
Dall’analisi Ocse: “La lunghezza media di un processo in sede civile, al termine del terzo grado di giudizio, e’ stata di 788 giorni, con la Svizzera, più virtuosa, con solo 368 giorni e l’Italia, fanalino di coda, con quasi otto anni di durata. Dai dati raccolti dall’Ocse, non emerge un legame tra la percentuale di PIL spesa per la macchina della giustizia e le performance del sistema: Paesi con gli stessi stanziamenti mostrano infatti una durata dei processi molto diversa tra loro. L’organizzazione cita a esempio Paesi come “Italia, Repubblica Slovacca, Svizzera e Repubblica Ceca che stanziano circa lo 0,2% del PIL per finanziare il sistema giustizia, ma mentre in Svizzera e in Repubblica Ceca la media della durata di un processo e’ di 130 giorni, il dato aumenta di 2,7 volte per la Repubblica Slovacca e di quattro volte per l’Italia“.
Vera MORETTI
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