I problemi sono diversi: difficoltà con le banche per la concessione di credito, difficoltà nel rispettare scadenze e adempimenti fiscali, ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, mancati incassi da clienti privati, impossibilità di pianificare investimenti, scarsa flessibilità nel gestire l’occupazione. Una serie di problematiche che hanno un denominatore comune, la crisi economica.
Nel 62,2 % dei questionari quello che emerge è il medesimo scenario: il baratro, la chiusura per le aziende, il licenziamento per i lavoratori, la disperazione delle famiglie. Ad essere additato come la concausa del possibile e papabile fallimento da parte delle imprese, oltre ai problemi con gli istittui di credito, sono le tasse.
La tassazione che soffoca ogni forma di attività, impedisce la sopravvivenza, figuriamoci lo sviluppo delle nostre imprese, e oltre a superare del 50% il tetto massimo, prevede per le aziende termini e adempimenti tributari difficili, se non impossibili da rispettare. Altro fattore allarmante è il ritardo nel pagamento da parte di Stato centrale ed enti locali. Anzitutto per lo stock da 90-100 miliardi di debiti della pubblica amministrazione che non viene sbloccato da amministrazioni centrali e locali, come recentemente denunciato dalle banche, a causa dello stallo nel meccanismo di certificazione dei crediti vantati dalle imprese.
Altra fonte di apprensione per le imprese è lo stop agli investimenti. Le nuove regole varate lo scorso anno dal Governo tecnico non hanno migliorato la situazione e non hanno risposto alla esigenza di maggiore flessibilità chiesta dai datori di lavoro.
Eloquenti le parole di Polo Longobardi, presidente di Unimpresa che sostiene che “la situazione sia da allarme rosso. La massa di imprese che alzano bandiera bianca si estende a vista d’occhio giorno dopo giorno e non si vede una via d’uscita. Le imprese sono stremate e il fallimento, in taluni casi, è inevitabile. Al Governo di Enrico Letta abbiamo posto più volte l’esigenza di varare riforme serie, volte a dare speranza agli imprenditori e pure alle famiglie. Per rimettere in moto l’economia, e quindi per far ripartire l’occupazione, si deve dare impulso al credito e vanno tagliate le tasse”.
Sempre secondo il parere di Longorbardi “senza la liquidità delle banche e senza un abbattimento drastico della pressione fiscale il nostro Paese non ha futuro ed è destinato a morire”.
Francesca RIGGIO
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