Prima che la situazione del debito italiano degenerasse, in pochi conoscevano il significato del termine “spread”. Oggi è ormai una delle parole più in voga del momento, ma nonostante questo non vuol dire che il termine sia stato realmente compreso. Tutto inizia nel novembre 2011 quando il differenziale tra Btp decennali e Bnd tedeschi raggiunge il picco record di 574 punti base, portando alle dimissioni forzate di Silvio Berlusconi e alla conseguente nascita del governo tecnico guidato da Mario Monti. Due anni dopo la situazione spread sembra decisamente migliorata: il differenziale per la prima volta dopo anni torna sotto soglia 250 punti base ridando ossigeno ai conti pubblici, nonostante i dati ancora negativi riguardo il debito pubblico.
Saranno le famiglie che potranno raccogliere le conseguenze positive della discesa dello spread, chi ha contratto un mutuo a tasso variabile potrà beneficiare di guadagni concreti. Lo scenario di un costo del denaro più favorevole e di mutui più a buon mercato potrebbe permettere la ripresa del mercato immobiliare sconvolto dalla crisi.
Sembra paradossale ma, se per i conti pubblici e i mutui per le famiglie la caduta dello spread potrebbe portare effetti concreti, difficilmente qualcosa cambierà in positivo, almeno a breve termine, per quanto riguarda i prestiti alle imprese, che in teoria dovrebbero essere le prime a beneficiarne. La stretta creditizia e la crisi non permettono un calo dei tassi di interesse per le aziende, nonostante lo spread sotto i 250 punti.
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