E crisi fu. Dopo settimane di avvertimenti e minacce, la decisione è stata presa: Silvio Berlusconi, dopo 5 mesi di governo Letta, apre la crisi di governo, pretendendo ed ottenendo le dimissioni del 5 ministri del Popolo delle Libertà. Il premier, che oggi salirà al Quirinale, vuole comunque verificare i numeri alle Camere «dove ognuno si prenderà le proprie responsabilità» forse già domani.
Il casus belli, almeno sulla carta, è la mancata approvazione del decreto legge per evitare l’aumento dell’Iva. Ed è proprio in nome di un’imposta, definita letteralmente «un’odiosa vessazione», che il Cavaliere ritira la truppa dei suoi ministri aprendo di fatto l’inevitabile crisi di governo.
«L’irresponsabilità sta salendo a livelli che non erano razionalmente valutabili, siamo ad una crisi al buio che non si vedeva dal dopoguerra», sono le dichiarazioni a caldo del segretario del Pd Guglielmo Epifani. A questo punto, però, il ritorno alle urne, pur messo in conto dal Partito Democratico, deve fare i conti con la necessità imprescindibile di cambiare la legge elettorale e anche il congresso previsto per inizio dicembre, per eleggere il nuovo segretario dopo il traghettatore, torna in forse. La speranza dei massimi dirigenti del partito di maggioranza relativa alla Camera è un governo di scopo, della durata di qualche mese, per portar approvare la legge di stabilità e, magari, la nuova legge elettorale.
Una nuova maggioranza in realtà sembra impossibile da costruire, nonostante Nichi Vendola si dichiari disponibile ad un governo che, prima di tornare alle elezioni, cambi il Porcellum ed approvi la Legge di Stabilità. Improbabile, invece, contare sull’apporto dei parlamentari grillini: «Bisogna andare al voto, anche con l’attuale legge elettorale, per vincere e salvare l’Italia. È l’ultimo treno. Napolitano non si opponga. I prossimi mesi saranno per cuori forti».
Jacopo MARCHESANO
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