di Davide PASSONI
Lo dicono tutti, non solo le statistiche: la pressione fiscale in Italia è a livelli vergognosi. Se nel 1960, in pieno boom economico, si attestava intorno al 23% e non è mai salita oltre il 30% fino al 1980, ormai viaggiamo abbondantemente oltre il 50% e le cose non sono destinate a migliorare.
Uno stillicidio, una crescita ininterrotta che è la pietra tombale sopra a consumi, famiglie e, soprattutto, imprese. Per queste ultime, poi, c’è il cocktail mortale che mixa insieme tasse e burocrazia. I due nemici del fare impresa in Italia sono due mostri sempre più forti che fanno chiudere le aziende e fanno terra bruciata intorno al sistema produttivo italiano.
Però, sul fronte delle imposte, c’è un altro aspetto che, a nostro avviso, è altrettanto deleterio se non ancora più mortale della pressione fiscale: l’incertezza fiscale. In Italia non si sa mai se si pagherà una tassa, quando la si pagherà, come la si pagherà. Un’impresa non può redigere un bilancio sensato e coerente perché le regole cambiano in corso d’opera, si introducono nuovi adempimenti, scattano proditorie retroattività che violano qualsiasi regola del fare impresa e del vivere civile, con un’unica certezza: le tasse aumentano.
Diteci voi, in questo quadro fiscale come è possibile fare impresa e, soprattutto, come è possibile attirare investitori stranieri in un Paese nel quale l’incertezza è la regola e l’impresa è vista come una vacca da mungere anziché un toro da addestrare ad andare alla carica degli altri mercati.
Questa settimana Infoiva cercherà di analizzare questa crescita della pressione fiscale ascoltando più voci e, soprattutto, tentando di non farsi deprimere più del lecito. Perché, comunque, fare impresa resta una missione e se si soccombe la missione è fallita in partenza.
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