Era stato annunciato i primi giorni di dicembre, ed ora è arrivata la conferma: entro l’inizio dell’estate verrà avviato il piano per la privatizzazione di Poste Italiane.
L’accelerata che questa operazione ha improvvisamente subito è spiegata dal fatto che il Governo vuole ricavarne, da una quota di minoranza, corrispondente al 30-40%, almeno 5 miliardi di euro.
Lo schema, inoltre, prevede di riservare la fetta maggiore del capitale sul mercato (50 – 60%) a investitori istituzionali.
Una piccola quota, compresa tra il 2 e il 5%, sarà destinata invece ai dipendenti, a titolo gratuito, mentre il resto sarà venduto alla clientela retail attraverso i 14.000 uffici sparsi in Italia.
Sul mercato non finiranno le controllate, ipotesi che era stata ventilata nei mesi scorsi, bensì la capogruppo, forte dei suoi 24 miliardi di ricavi e un utile 2012 di 1 miliardo di euro. La valutazione della holding è stimata da 10 a 12 miliardi di euro.
Per rendere più appetibile la società agli investitori, si punta anche a migliorare la profittabilità della società, con un occhio al servizio universale per le comunicazioni postali e alla convenzione con Cassa depositi e prestiti.
In vista di una Ipo, il governo dovrà delineare i contenuti di entrambe le intese, che pesano e non poco sul bilancio, visto che i numeri del gruppo finiranno sotto i riflettori nei prossimi mesi.
La principale voce di raccolta della Cdp, infatti, è costituita dalla gestione di una parte consistente del risparmio nazionale, il risparmio postale (buoni fruttiferi e libretti), che è collocato in esclusiva da Poste Italiane.
E la raccolta del risparmio postale rappresenta a sua volta una delle principali entrate per il gruppo guidato dall’a.d. Massimo Sarmi, che rinnova ogni anno la convenzione con Cdp.
Vera MORETTI
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