Nel dossier consegnato da Abi al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è emerso che la pressione fiscale sulle banche italiane e sulle banche estere operanti in Italia è superiore almeno del 15% rispetto agli altri mercati europei.
Alla luce di questi dati, ma soprattutto in vista dell’Unione bancaria e della maggiore integrazione del mercato finanziario europeo, i banchieri chiedono che venga garantito :”un terreno di gioco livellato per le banche che operano in Italia, rimuovendo le numerose penalizzazioni che oggi contribuiscono gravemente a comprimere la redditività delle banche e, per questa via, la loro capacità di svolgere il loro ruolo di sostegno all’economia e alla crescita“.
Antonio Patuelli, presidente di Abi, ha precisato, nel messaggio contenuto nel dossier, che non sono privilegi quelli che la categoria richiede, ma, piuttosto, che non ci siano discriminazioni, neppure di natura fiscale, tra banche italiane ed europee. Questo perché “con forti difformità fiscali in Europa esploderebbero contraddizioni con ricadute gravi per economia ed occupazione“.
Tra i nodi fiscali che maggiormente pesano sulle banche c’è l’applicazione di una addizionale Ires di 8,5 punti percentuali per il periodo di imposta 2013, che ha portato l’aliquota complessiva Ires dovuta dalle banche al 36%, rispetto alla misura ordinaria prevista per le altre imprese che è rimasta ferma al 27,5%.
Dito puntato anche contro le penalizzazioni che riguardano i prodotti, ricordando che dal primo luglio di quest’anno sarà applicata la nuova aliquota del 26%, destinata a sostituire quella del 20% applicabile alla generalità dei prodotti di risparmio, con l’eccezione dei titoli di stato e di quelli ad essi equiparati ai fini fiscali.
A questo proposito, si legge nel documento: “La nuova maggiore aliquota rischia inevitabilmente da un lato, di amplificare alcune criticità dell’impianto normativo, e dall’altro, di disincentivare sempre di più l’afflusso di capitali esteri nel nostro Paese“.
L’Abi si chiede infine se non siano maturi i tempi per una vera riforma “che abbandoni il meccanismo della tassazione secca proporzionale per riportare i redditi di natura finanziaria nella base imponibile con tassazione ad aliquote progressive“.
C’è inoltre da ricordare che le banche italiane, contrariamente a quelle europee, negli anni della crisi non hanno beneficiato di aiuti pubblici, per non pesare sui contribuenti.
In Italia gli aiuti sono ammontati a 6,3 miliardi di euro, lo 0,4% del pil, cifra ben inferiore rispetto agli 83 miliardi della Gran Bretagna, 63,7 miliardi della Germania, 62 miliardi dell’Islanda e 60 miliardi della Spagna.
Nonostante la crisi, lo sforzo di ricapitalizzazione, che é volto in ultima analisi a mettersi in condizioni di poter erogare maggior credito quando qualità e quantità della domanda lo consentiranno, è stato interamente sostenuto dal settore e dai suoi azionisti: nel complesso, negli ultimi sei anni, oltre 40 miliardi di euro di incremento di capitale tra operazioni realizzate e in corso.
Vera MORETTI
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