Con il passare degli anni, e il perdurare della crisi economica, il call center è diventato sempre più emblema di precarietà e luogo di speranze e sogni interrotti. In tempi di magra, però, il call center è diventato anche l’ultima spiaggia per migliaia di giovani scoraggiati dal contesto economico circostante.Da qui l’urgenza del Governo di intervenire necessariamente per (cercare di) regolarizzare un settore-giungla avviato verso una corsa al ribasso senza precedenti e che sembrerebbe aver perso la propria immunità nei confronti della crisi economica.
Per questo motivo è stato avviato al MiSE un tavolo di settore – a cui hanno partecipato il viceministro Claudio De Vincenti, il sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova, le sigle sindacali di categoria, le associazioni datoriali e gli esponenti di ANCI e AGCOM – per cercare di preservare dalla crisi un settore che ad oggi conta almeno 80mila lavoratori.
«Il confronto in corso è positivo – hanno dichiarato i rappresentanti della Slc Cgil – ma bisogna passare dalle intenzioni ai fatti e dimostrare che, finalmente, il Paese ha superato le vecchie logiche del passato ed è in grado di produrre riforme che vadano incontro alle esigenze complessive. Il Governo deve decidere da che parte stare: se con chi propone la conservazione del sistema attuale che crea disoccupazione e costi sociali rilevantissimi (480 milioni la spesa prevista in ammortizzatori sociali e incentivi nel solo triennio 2012 – 2014) o con chi vuole riformare il sistema per portarlo a competere sulla qualità, sull’efficienza, sull’innovazione e sullo sviluppo».
La risposta del Governo è arrivata tramite una note del MiSE: «L’esecutivo è impegnato fino in fondo a tutela di un settore ad alta intensità di lavoro che attraversa un serio momento di crisi. Stiamo cercando di recuperare anche un solo posto di lavoro e, attraverso un utilizzo sapiente degli ammortizzatori sociali, di non perderne neanche uno».
JM
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