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Record di fallimenti? Ecco come gestire la crisi aziendale

Sono dati allarmanti, seppur ampiamente prevedibili, quelli resi noti nei giorni scorsi dal Cerved: nel secondo trimestre 2014, i fallimenti aziendali sono stati 4.241, in aumento del 14,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. Numeri che rendono chiara, una volta per tutte, la drammaticità della situazione in cui versano gli imprenditori nostrani, impegnati ogni giorno in sforzi sovrumani, sia personali sia finanziari, per tenere in piedi la propria azienda alle prese con numeri perennemente in negativo.

Come gli imprenditori in questo delicato periodo sanno bene, se dall’analisi dei dati finanziari si evidenza una situazione ormai inevitabilmente compromessa e ai limiti della sopportazione, è opportuno passare immediatamente alla messa in liquidazione dell’impresa, alla cessione o, se si possiedono i requisiti, alla procedura concorsuale per evitare (ulteriori) inutili sprechi d’energia. Ma se c’è ancora un briciolo di speranza, allora, l’imprenditore ha il dovere morale di tentare altre possibili soluzioni…

Se, analizzando con accuratezza le cifre e i dati, si ritiene di poter uscire dalla crisi si porranno in atto azioni di risanamento e di ristrutturazione profonda dell’azienda in crisi che si sviluppa principalmente in due momenti: il primo volto a porre termine alle cause che hanno portato alla crisi dell’azienda, nel minor tempo possibile, il secondo volto al perseguimento di un piano di recupero della redditività nel brevissimo periodo. Oltre ai piani di risanamento, da valutare con estrema ponderazione, l’azienda potrà usufruire degli altri strumenti che la legge le mette a disposizione come, per esempio, il concordato preventivo.

Per le aziende che si trovano ad affrontare una (momentanea) crisi di liquidità, infatti, la legge contempla anche altre possibilità che non necessariamente portano alla dichiarazione di fallimento e alla cessazione. Se in presenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, l’imprenditore può evitare la dichiarazione di fallimento attraverso un accordo destinato a portare ad una soddisfazione anche parziale delle ragioni creditorie. Regolato dal Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942, il concordato è detto appunto “preventivo” per questa sua principale funzione di prevenire la più grave procedura che potrebbe seguire ad uno stato di dissesto finanziario.

Per gli enti pubblici – ma anche le assicurazioni, le cooperative e i consorzi obbligatori, cioè quegli organismi che “svolgono un’attività di pubblico interesse, che hanno subito un’investitura diretta o indiretta dallo Stato o che subiscono da questo una certa ingerenza nella gestione” – è possibile ricorrere alla liquidazione coatta amministrativa, un procedura concorsuale che punta, infatti, a tutelare l’interesse pubblico. L’apertura del procedimento di liquidazione, inoltre, preclude al creditore le azioni in sede di giurisdizione, poiché i creditori devono far valere le proprie istanze nella procedura amministrativa di accertamento dei crediti attuata dal commissario.

Jacopo MARCHESANO

 

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