Una delle peculiarità del tessuto economico italiano sono i cosiddetti distretti industriali, ossia, come recita la preziosissima Wikipedia, “un’agglomerazione di imprese, in generale di piccola e media dimensione, ubicate in un ambito territoriale circoscritto e storicamente determinato, specializzate in una o più fasi di un processo produttivo e integrate mediante una rete complessa di interrelazioni di carattere economico e sociale”.
Secondo i dati Istat relativi al 2011, i distretti industriali italiani sono 141 e, in un decennio, hanno subito un duplice processo: dal 2001, infatti sono diventati meno, più piccoli ma più specializzati. Insieme, i distretti industriali costituiscono circa il 25% del sistema produttivo nazionale.
A proposito di distretti industriali piccoli, quelli più contenuti in termini di aziende e di numero di occupati sono, in rigoroso ordine alfabetico: Firenzuola (FI), Fonni (NU, il più piccolo), Minervino Murge (BA), Piancastagnaio (SI), Pieve di Cadore (BL), San Marco dei Cavoti (BN), Storo (TN), Thiesi (SS), Urbania (PU) e Vilminore di Scalve (BG).
Passando invece ai distretti industriali più grandi, questi sono Bergamo, Padova, Busto Arsizio (VA), Como, Brescia, Prato, Reggio Emilia, Treviso, Lecco e Vicenza. Tutti distretti che, a parte Vicenza, eccellono nella produzione meccanica e tessile.
I distretti industriali italiani, oltre a costituire circa il 25% del sistema produttivo nazionale, come detto, danno lavoro al 24,5% degli italiani occupati e costituiscono il 24,4% delle unità produttive di tutta Italia. Se, da un lato, la loro forza è data proprio dall’estrema specializzazione e dall’alta qualità delle loro produzioni, dall’altro sono l’emblema del perché, sotto tanti aspetti, l’economia italiana fatichi a trovare una dimensione forte all’interno di questi anni di crisi; si tratta infatti di un tessuto frammentato che, spesso, trova difficoltà a fare sistema. Unendo le forze, la crisi fa meno paura.
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