Se dici Italia, dici pasta. Al di là dei luoghi comuni sugli italiani spaghetti pizza e mandolino, quella della pasta è una vera e propria miniera d’oro per la nostra economia, tanto che lo scorso anno le esportazioni, secondo i dati Ismea, hanno fatto registrare un +4%, superando le 2 milioni di tonnellate, pari a circa 2,2 miliardi di euro.
Di fatto, l’export della pasta costituisce il 7% del valore dell’export dell’agroalimentare italiano, con punte di tutto rispetto. A partire dal 2001, l’export di pasta di semola secca (oltre l’80% dell’intero comparto pasta) è aumentato in media del 2,3% all’anno in volume e del 5% in valore, con uno stallo solo nel 2008 a causa dell’impennata dei listini internazionali del grano duro.
Stando ai dati di export, i mercati d’elezione della pasta made in Italy sono principalmente in Europa e precisamente in Uk, Francia e Germania che insieme assorbono quasi il 46% dell’export di pasta italiana.
Lo scorso anno, poi, sono cresciuti bene anche i Paesi Bassi (+18%), il Belgio (+17%), la Russia (+11% nonostante l’embargo) e la Svezia (+4%). Male il Giappone (-7%) e l’Austria (-2%). Da segnalare il boom della pasta italiana in Cina (+40%) poco significativo però, dal momento che riguarda quote di mercato piuttosto esigue.
Ismea, nel diffondere i dati relativi all’export della pasta, sottolinea quanto questo successo oltre confine evidenzi ancor di più la distanza che c’è tra la fase agricola e quella industriale, in un settore che dipende in buona parte dall’estero per la materia prima.
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