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Imprese italiane, imprese nane

Alla crisi abbiamo imputato un sacco di colpe e disastri perpetrati verso le imprese italiane, ma su una cosa, almeno, è stata magnanima: non ha modificato in maniera sensibile le dimensioni medie delle imprese italiane né la struttura produttiva della nostra economia.

È una delle evidenze emerse dal rapporto annuale dell’Istat relativo al 2012, secondo il quale le imprese italiane hanno mantenuto la loro dimensione media, una tra le più basse d’Europa: 3,9 addetti per ciascuna, con il 47,5% degli occupati che lavora in imprese che contano meno di 10 addetti. Percentuale invariata rispetto al 2007, anno di inizio della crisi, quando era al 47,4%.

Secondo l’Istat, le imprese italiane con meno di 10 addetti sono 2,2 milioni, generano il 10% del valore aggiunto del sistema produttivo del Paese e spesso sono realtà che si presentano come forme di autoimpiego, con scarsi obiettivi di produttività e crescita. Basti ricordare che nel 2012 le imprese italiane hanno investito in ricerca e sviluppo solo lo 0,7% del Pil nazionale, contro l’1,3% dell’Unione Europea a 28.

Se non altro, però, il numero di imprese italiane innovatrici e di quelle che registrano nuovi marchi e nuovi prodotti di design industriale è di gran lunga superiore a quello di tutta Europa: 41,5% contro il 36% dell’Unione Europea a 28.

Se le imprese italiane, prese singolarmente, rimangono micro, cresce invece il numero dei gruppi di imprese: nel 2012 ne risultavano oltre 90mila, dai 76mila nel 2008 e davano lavoro a 5,6 milioni di persone in 206mila imprese.

Le prospettive, però, sono andate migliorando dal momento che, secondo l’Istat, nel 2014 i segnali di ripresa hanno coinvolto un numero rilevante di imprese italiane. Un’impresa con almeno 20 addetti su due del manifatturiero ha visto infatti crescere il proprio fatturato totale di quasi 1 punto (0,8%) mentre, rispetto al 2013, sono aumentati sia i ricavi esteri (almeno +1,6%) sia quelli interni (+0,1%) e il fatturato interno è aumentato per la prima volta da oltre tre anni.

Insomma, se è nel dna delle imprese italiane il fatto di essere micro, le dimensioni contenute possono anche essere un vantaggio competitivo, specie se si fa in modo di aggregarsi in gruppi più strutturati.

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