Funerale di Imu e Tasi o dei contribuenti?

Tutto si può dire del premier Renzi ma non che non sappia usare parole e metafore chiare per spiegare concetti astrusi. Non che il taglio di Imu e Tasi sia un concetto difficile da capire, ma utilizzare la parola “funerale” per indicare l’abolizione delle due imposte significa far entrare bene il concetto nella testa degli italiani.

Ma la cancellazione di Imu e Tasi è un lusso che l’Italia si può permettere? Quando Silvio Berlusconi fece una mossa analoga nei confronti dell’imposta sulla prima casa di allora, l’Ici, non tenne conto di quanto il mancato introito potesse sbilanciare i conti delle amministrazioni locali e di quella centrale, per la parte d’imposta a lei girata. Risultato, cittadini felici in prima battuta ma poi mazziati dall’aumento della fiscalità locale introdotto per compensare i mancati introiti. Adesso, con Imu e Tasi, il rischio che molti paventano, e che il premier esclude, è lo stesso.

Tra questi il Codacons: “Facile fare annunci di questo tipo, più difficile trovare le necessarie coperture – ha infatti commentato il presidente, Carlo Rienzi -. La cancellazione di Imu e Tasi per tutti, infatti, toglierà dalle tasche dello Stato e dei Comuni ben 25 miliardi di euro. Un’ottima notizia per i contribuenti italiani, decisamente meno per le casse pubbliche, e se il Governo non individuerà le dovute coperture, la cancellazione di Imu e Tasi si trasformerà in un boomerang per i cittadini, attraverso un abnorme aggravio delle imposte locali per far fronte ai minori introiti garantiti dalla tassazione sulla casa“.

Se i Comuni vengono privati di tale risorsa – prosegue il Codacons -, e se dallo Stato centrale non arriveranno soldi sufficienti a coprire il buco, le amministrazioni comunali reagiranno aumentando la tassazione locale, come sempre avvenuto negli ultimi anni” (+177% nell’ultimo triennio, secondo i consumatori, ndr).

Del resto, il problema delle risorse da trovare per potere sopprimere Imu e Tasi preoccupa anche la Cgia, secondo al quale è necessario pensare prima di tutto alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia. Servono infatti 18,8 miliardi per evitare, entro l’inizio del 2016, gli aumenti delle accise sui carburanti, l’incremento degli acconti Irpef e Ires e il ritocco verso l’alto dell’Iva. Inoltre, entro la fine del 2015 dovranno essere trovati altri 1,5 miliardi per estendere al 2016 la decontribuzione totale a beneficio delle aziende che assumono a tempo indeterminato (una boccata d’ossigeno per l’occupazione) e altri 2,1 miliardi per consentire, dopo le sentenze della Consulta, la reindicizzazione delle pensioni e il rinnovo dei contratti dei lavoratori del pubblico impiego.

Chi, invece, opera nel settore delle costruzioni, vede di buon occhio l’abolizione di Imu e Tasi. È il caso di Confedilizia, che si dice sicura che l’intervento “è quello che serve all’Italia, ma soprattutto al settore immobiliare, che sta subendo da quattro anni un’imposizione fiscale senza precedenti, in gran parte patrimoniale e ormai più che doppia rispetto alla media europea“.

Food Made in Italy re dell’export

Seppur siano tanti i settori di eccellenza che hanno imposto il Made in Italy oltre i confini nazionali, è ancora il food che spopola e che colloca il Belpaese ai vertici mondiali di gradimento, con ben 20 prodotti.

Sono la pasta, le conserve di pomodoro, gli insaccati, i formaggi, ma anche le verdure e gli ortaggi, i prodotti più amati dagli stranieri, in particolare nel Paesi dove l’export è cresciuto maggiormente nell’ultimo anno, come la Germania (+17,3 per cento), la Francia (+20,5 per cento), l’Inghilterra (+23,6 per cento) e gli Stati Uniti (+37,8 per cento).

Tra gli alimenti che solleticano le papille gustative in Europa e nel mondo, ci sono anche i dolci e i prodotti da forno, il caffè, le carni e i vini, immancabili quando si tratta di Made in Italy.

si tratta di un patrimonio il cui export vale 30 miliardi di euro, in crescita di un terzo rispetto a cinque anni fa, nonostante le contraffazioni e l‘italian sounding, che danneggiano pesantemente il nostro nome e le nostre tradizioni.

Le cifre sono da capogiro: si tratta di un fatturato di quasi 300 miliardi di euro, che garantisce 230mila posti di lavoro.
Considerando la qualità, altissima, dei prodotti, c’è da andarne fieri.

Vera MORETTI

Bando per le pmi marchigiane

Le imprese del commercio marchigiane sono al centro di un bando appena pubblicato dalla regione, rivolto, appunto, alle pmi attive in questo settore e a chi svolge attività di pubblico esercizio.

Per poter accedere ai contributi previsti, relativi dunque alle piccole e medie imprese del commercio al dettaglio e della somministrazione di alimenti e bevande, specialmente se le attività sono nate dopo il 1 gennaio 2014 e titolari sono giovani under 35.

Sono previsti contributi in conto capitale pari al 15% delle spese, fino a un massimo di 80mila euro. I progetti devono essere portati a termine entro sei mesi dalla pubblicazione della graduatoria.

Giorgio Fiori, direttore di Confcommercio, ha presentato il bando 2015: “Il nuovo bando regionale per il commercio rappresenta evidentemente una eccellente opportunità che le imprese commerciali di Ascoli e del Piceno tutto non dovrebbero lasciarsi sfuggire poiché per crescere ed essere al passo con i tempi, in un mercato sempre più difficile, è necessario investire, pur se gli attuali tempi di crisi consiglierebbero tutt’altro“.

Le domande per poter beneficiare dei contributi possono essere presentate fino al 30 settembre.

Vera MORETTI

Estate positiva per gli italiani

Nonostante la crisi, l’estate targata 2015 ha segnato un’inversione di tendenza nella propensione alle vacanze degli italiani.
Se, infatti, fino all’anno scorso la maggior parte aveva dovuto ridurre i giorni di ferie, o comunque optare per mete più vicine e dimenticare, almeno temporaneamente, quelle più esotiche, quest’anno, nel mese di luglio, l’indice di propensione al viaggio del viaggiatore italiano ha toccato quota 66, ovvero il suo massimo storico, tre punti in più rispetto al mese precedente, un risultato che porta a 11 punti l’aumento realizzato da ottobre in poi.

Questo dato, senza dubbio incoraggiante, è stato reso noto da un’indagine condotta da ConfturismoConfcommercio in collaborazione con l’Istituto Piepoli.
Ovviamente, l’aumento dell’indice è dovuto ad una migliore situazione economica, che ha quindi modificato il comportamento dei turisti italiani, più invogliati a partire e staccare dalla routine.

Il motivo principale è un maggiore ottimismo relativo all’uscita dalla situazione di recessione, e la maggior parte di chi è partito ha dimostrato di preferire di gran lunga l’Italia, con Trentino Alto Adige, Puglia e Toscana in testa alle preferenze.
Chi invece ha preferito varcare i confini del Belpaese ha scelto Croazia e Grecia, mentre fuori dall’Europa hanno stravinto gli Stati Uniti e il Nord Africa.

Altro dato importante è che non solo ad agosto sono avvenute le partenze e, complice il caldo che ancora è ben presente sullo Stivale, sono più di 4 milioni gli italiani che sono ancora in vacanza e che, anzi, hanno scelto proprio settembre per concedersi il meritato riposo, un milione in più rispetto all’anno scorso.

Si tratta di un dato considerevole, che porterà una scossa, positiva, sull’economia nazionale, come ha confermato Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi: “I cambiamenti culturali ed economici hanno modificato il modo di far vacanza anche per gli italiani. La durata della vacanza principale si accorcia e ad essa si aggiungono vacanze più brevi e week end nel corso dell’anno; inoltre, anche se agosto rimane il mese preferito dagli italiani, si registra una crescita dell’attenzione verso altri periodi dell’anno“.

Vera MORETTI

Vivo a Verona e risparmio

Verona è la città dove è più conveniente fare la spesa. Lo rileva l’inchiesta annuale di Altroconsumo su supermercati, iper e hard discount in 68 città italiane: a fronte di una spesa media di 6.350 euro l’anno per famiglia, a Verona si può scendere sotto i 6.000.

Tasse su? Colpa della spesa pubblica

Alla fin fine, se aumentano le tasse è sempre colpa dello stato ladro. È un’equazione tanto semplice quanto sconcertante. Se tra il 2000 e il 2014 le entrate tributarie sono cresciute del 38,6% è perché la spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, è aumentata del 46,5%. Due percentuali nettamente più alte rispetto a quella della crescita del Pil nello stesso periodo: +30,4%. E le tasse aumentano.

Secondo l’Ufficio studi della Cgia, però, al netto di questo inseguimento tra spesa pubblica e tarre, nel nostro Paese la prima è pari al 50,8% del Pil, ossia solo +1,4% rispetto alla media dei paesi dell’Area euro.

Secondo Paolo Zabeo, della Cgia, “le tasse hanno inseguito le uscite, al fine di evitare che i nostri conti pubblici saltassero per aria. Con il risultato che il carico fiscale sui cittadini e sulle imprese è aumentato a dismisura per coprire gli aumenti di spesa che, purtroppo, non hanno ridotto le disparità esistenti tra le persone in difficoltà e le classi sociali più abbienti”.

Se dal totale della spesa dello Stato sottraiamo la spesa pensionistica (pari al 16,7% del Pil) e quella per interessi sul debito pubblico (4,9%), le uscite per l’Italia calano al 29,2% del Pil, contro una media dell’Area dell’euro del 33,8%, ben bilanciabile con un aumento moderato delle tasse.

Considerato che le voci di spesa relative alla spesa per le pensioni (non comprimibile nell’immediato) e agli interessi sul debito (non rinviabile) non si possono ragionevolmente ridurre a breve, l’aumento delle tasse è ineluttabile. Naturalmente, concludono dalla Cgia, questa situazione è figlia degli effetti negativi di una spesa pensionistica che in passato è stata molto generosa e di un debito pubblico che, nonostante l’austerità e il rigore di questi ultimi anni, ha continuato a crescere. Così come le tasse