Bollicine italiane superstar

Alla faccia dello champagne, il Capodanno appena passato è stato un trionfo per le bollicine italiane nel mondo. Secondo Coldiretti, in occasione dei festeggiamenti di Capodanno, sono state stappate 170 milioni di bottiglie di spumante Made in Italy. Un dato figlio del fatto che all’estero non sono mai state richieste così tante bollicine italiane come quest’anno.

L’Istat rileva infatti che nei primi nove mesi del 2014 si è registrato il record di esportazione di spumante, +24%, che ha portato il 2014 a chiudersi con un totale di bottiglie di spumante esportate pari a quasi 300 milioni. Se si considera che le esportazioni di champagne hanno fatto registrare un +6% è facile ipotizzare che le bollicine italiane (soprattutto Prosecco e Asti) abbiano stracciato quelle francesi.

Per quanto riguarda i mercati più importanti, la Cina ha fatto registrare un boom di bollicine italiane (+110%), ma anche il Regno Unito si è difeso bene (+49%), superando gli Stati Uniti (+21%) come mercato di riferimento per le bollicine italiane. Gradino più basso del podio per la Germania, le cui importazioni di spumante italiano sono rimaste stabili.

In Italia, invece, sono state stappate circa 50 milioni di bottiglie di spumante Made in Italy, scelte dall’89% degli italiani.

Imprese italiane in tempo di crisi

È interessante notare come le imprese italiane negli anni della crisi si muovano in maniera prevedibile e, purtroppo, poco brillante, anche se con qualche sorpresa. Lo certifica anche l’Annuario statistico dell’Istat, che scatta una fotografia impietosa delle dinamiche di natalità e mortalità delle imprese italiane in uno degli anni più neri della crisi, il 2011.

Secondo l’Istat, le imprese italiane nate nel 2011 sono state circa 265mila, 389 in meno rispetto al 2010. Il tasso di natalità si attestava al 6,7%, il più basso registrato negli ultimi sei anni insieme a quello dell’anno precedente, mentre il tasso di mortalità era all’8%.

In questo conteggio, però, erano comprese tanto quelle individuali, quanto i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, quanto le imprese italiane con dipendenti; queste ultime erano poco meno di 133.500, ma con la loro dinamica demografica era sorprendentemente positiva: il tasso di natalità era del 9,1%, mentre il tasso di mortalità si attestava all’8,4%.

Delle imprese italiane nate nel 2010, a fine 2011 l’83,1% era ancora attivo (ma nel 2010 erano l’85,8%). Erano di più nell’industria (88,4%), meno nel settore degli altri servizi (80,6%) e delle costruzioni (79,9%).

A tal proposito, l’Istat ricorda come quello delle costruzioni sia stato il settore produttivo con la dinamica demografica più negativa, con un alto tasso di natalità accompagnato a un altissimo tasso di mortalità. Tassi alti che, sottolinea l’Istat, si rilevano soprattutto tra le imprese italiane del Sud e delle Isole.

L’Istat si sofferma poi sulle cosiddette imprese “high-growth”, le imprese italiane con un alto tasso di crescita; imprese che nascono con almeno 10 dipendenti e, in tre anni consecutivi, fanno registrare una crescita media annua in termini di dipendenti e/o di fatturato superiore al 20%.

Ebbene, secondo l’Istat la percentuale delle imprese high-growth sul totale delle imprese italiane è calato, rispetto al 2010, dello 0,1%. Dato incoraggiante: la percentuale più alta di imprese high-growth è nel Sud e nelle Isole (rispettivamente 3,3% e 3).

Classe di merito? I professionisti la cambiano più spesso

Per molti automobilisti, il 2015 è già partito con i rincari; secondo le rilevazioni del portale per la comparazione di assicurazioni auto Facile.it, saranno oltre un milione e mezzo gli italiani che, per aver provocato un incidente nel corso dell’ultimo anno, saranno costretti a pagare un premio assicurativo più elevato cambiando classe di merito.

Facile.it ha analizzato oltre 500mila preventivi effettuati sul sito negli ultimi 30 giorni e ha rilevato come, dopo il calo registrato nel 2014, sia tornata a crescere, sia pur leggermente, la percentuale di automobilisti penalizzati per aver causato un sinistro: oggi rappresentano il 4,09% degli utenti alle prese con il rinnovo della loro assicurazione, un anno fa erano il 3,67%. In numeri, si stima che a pagare un premio maggiore cambiando classe di merito saranno 300mila italiani in più rispetto a gennaio 2014.

Per quanto riguarda le differenze socio-demografiche, si conferma la tendenza che vede le donne più maldestre (o più oneste, dipende dai punti di vista…) rispetto agli uomini; mentre tra questi ultimi la percentuale di chi denuncia sinistri con colpa si ferma al 3,73%, cambierà classe di merito ben 4,76% del totale delle donne. A livello di età, i meno penalizzati dal cambio classe sono i più giovani (peggiorerà la propria condizione il 3,29% di chi ha meno di 30 anni), mentre la performance peggiore si registra tra i più adulti: oltre i 65 anni cambierà classe di merito il 5,40% degli automobilisti.

Considerando invece la categoria professionale dichiarata in fase di preventivo, anche quest’anno sono i liberi professionisti a chiedere più spesso l’intervento della compagnia assicuratrice e ad esserne penalizzati con un cambio di classe di merito: tra di loro la percentuale arriva al 5,38%. Li seguono i medici e gli infermieri, anch’essi con una percentuale superiore al 5% (precisamente il 5,26%); i più prudenti sono i vigili urbani e gli appartenenti alle forze armate.

Se si prendono in esame le differenze tra le regioni italiane, dopo il secondo posto registrato lo scorso anno la Toscana è quest’anno la regione più “indisciplinata”. Qui, infatti, la percentuale di automobilisti che hanno dichiarato di aver causato un incidente nel 2014 è tornata a superare il 5% (è al 5,40%), seguita dal Lazio, che l’anno scorso era terzo (e adesso registra il 5,35% di cambi classe), e dalla Liguria che è terza con il 5,08% di cambi di classe di merito. Fanalini di coda la Calabria (solo il 2,40% degli automobilisti ha dichiarato di aver avuto un incidente con colpa) e la Puglia (2,59%).

Colombo Clerici: bene la mancata proroga del blocco degli sfratti

La mancata proroga del blocco degli sfratti ha preso un po’ tutti di sorpresa. Come sempre accade, si è subito sollevato un polverone a ricordare la situazione delle famiglie bisognose a rischio (almeno 30mila secondo il Sunia, il sindacato degli inquilini), che senza il blocco degli sfratti si vedrebbero in mezzo alla strada. Tante verità ma anche tanta demagogia e una voce, quella di Assoedilizia, che canta un po’ fuori dal coro.
Il presidente di Assoedilizia, Achille Colombo Clerici, si è infatti espresso così in una nota sullo stop al blocco degli sfratti: “La mancata proroga del blocco degli sfratti, può esser letta come un segnale positivo dato dal Governo, che mira alla riconduzione alla naturale disciplina civilistica del rapporto di locazione, eliminando all’interno dello stesso forzature dovute all’interferenza di misure autoritative, sia pur introdotte per ragioni sociali. Un primo segnale per ripristinare la fiducia dei risparmiatori investitori nella casa. D’altronde la portata della misura è ormai ridotta ad un limitato numero di casi”.

Sicché – ha proseguito Colombo Clericiben dovrebbe e potrebbe intervenire, per il sussidio alle famiglie bisognose, la solidarietà pubblica, attraverso il sistema dell’edilizia residenziale pubblica, che peraltro godrà di un finanziamento di 849 milioni, destinati in parte al recupero abitativo di alloggi popolari inutilizzati”.

Non dimentichiamo – ha concluso Colombo Clericiche spesse volte il contrasto tra proprietario e inquilino protetto si è risolto in un conflitto tra poveri, essendo il proprietario a sua volta bisognoso. E d’altronde il gravosissimo carico fiscale sugli immobili mal si concilierebbe con il permanere di un vincolo al contratto, foriero di una compressione della redditività dell’immobile stesso”.

Rimborsi Iva cambiano le regole

In seguito al dettato del decreto legislativo sulle semplificazioni fiscali, non si dovrà più prestare apposita garanzia per ottenere i rimborsi Iva di importo fino a 15mila euro. Oltre questa soglia la garanzia per i rimborsi sarà obbligatoria solo nel caso di soggetti a rischio ai fini degli interessi erariali.

Ricordiamo infatti che finora, per ottenere i rimborsi Iva superiori a 5.164,57 euro era necessario prestare garanzia, cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato al valore di Borsa, oppure una fideiussione rilasciata da un’azienda o da un istituto di credito o da un’impresa commerciale che desse garanzie di solvibilità a giudizio dell’Amministrazione finanziaria.

Con il nuovo decreto è stata innalzata a 15mila euro la soglia di rimborsi Iva al cui superamento è richiesta la prestazione di garanzia in questo modo:

  • Nessuna garanzia per i rimborsi Iva di importo non superiore a 15mila euro;
  • Per i rimborsi Iva superiori a 15mila euro: se richiesti da soggetti a rischio, si deve prestare garanzia; se richiesti da soggetti non a rischio, l’erogazione del rimborso viene fatta previa prestazione di garanzia, oppure presentando la dichiarazione munita del visto di conformità dalla quale emerge il credito richiesto a rimborso + una dichiarazione sostitutiva di atto notorio che attesti la presenza di queste condizioni:
  • rispetto alle risultanze contabili dell’ultimo periodo d’imposta:
    • patrimonio netto non diminuito di oltre il 40%;
    • consistenza degli immobili ridotta di non oltre il 40% per cessioni non effettuate nella normale gestione dell’attività;
    • non cessazione né riduzione dell’attività per effetto di cessioni di aziende o rami di aziende;
    • se la richiesta di rimborsi Iva è presentata da società di capitali non quotate, non risultano cedute, nell’anno precedente la richiesta di rimborso, azioni o quote della società stessa per un ammontare superiore al 50% del capitale sociale;
    • esecuzione regolare dei versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi.

Saldi invernali, comincia la corsa

I saldi invernali sono partiti oggi e una delle città nei quali la corsa agli acquisti è da sempre più frenetica è di certo Milano. Ecco perché FederModaMilano (nell’ambito di Confcommercio Milano) si è lanciata in alcune previsioni per quelle che saranno le spese e il giro di affari in città con questi saldi invernali.

Secondo FederModaMilano, dunque, la stima è che per la città i saldi invernali avranno un valore complessivo delle vendite di circa 435 milioni di euro, con un acquisto medio a persona di 165 euro, mentre gli sconti medi saranno del 40%. FederModaMilano, e questo è il punto dolente, stima in circa il 2% il calo rispetto ai saldi invernali 2014.

Secondo Renato Borghi, presidente di FederModaMilano, “l’appuntamento dei saldi si conferma importante, in particolare a Milano, dove la spesa in saldo è maggiore rispetto al resto d’Italia e dove vi è un forte interesse anche da parte degli stranieri attratti dal nostro Made in Italy. E dopo un autunno debole, penalizzato anche dalle condizioni del tempo non favorevole alle vendite di capi invernali, ed un periodo di Natale che ha favorito in particolare le vendite di accessori moda, l’acquisto in saldo rappresenta sicuramente un’interessante opportunità per i consumatori perché vi è un ampio assortimento soprattutto nel tessile per poter effettuare acquisti ad un buon rapporto qualità/prezzo”.

Lo scenario generale, purtroppo, non è mutato e resta difficile – rileva Borghi – con una permanente debolezza dei consumi anche per il carico di spese obbligate e insopprimibili che grava sulle famiglie. Basti pensare all’ondata di tasse che ha sommerso i milanesi alla fine dell’anno appena chiuso. Anche per questo la nostra stima complessiva sui saldi invernali che si avviano indica un calo rispetto allo scorso anno, ma già dai dati di sabato 3, primo giorno, confidiamo in un buon avvio auspicando, alla fine del periodo, di poter cancellare la stima prudenziale negativa. Questi saldi invernali spero costituiscano un’occasione di rilancio per i negozi al dettaglio: un aiuto a invertire il trend negativo”.

Ecco perché con l’avvio dei saldi invernali 2015 FederModaMilano e Confcommercio Milano, in sintonia con le associazioni dei consumatori, rilanciano la tradizionale iniziativa dei “Saldi chiari”. Ecco i punti salienti: 

Carte di credito. Durante i saldi l’operatore commerciale non può rifiutare il pagamento con carta di credito.

Cambi merce. Il dettagliante si impegna a sostituire, se possibile, o a rimborsare i capi acquistati che presentano gravi vizi occulti così come previsto dal Codice Civile ed in particolare dalle norme di recepimento della Direttiva 1999/44/CE. Nel caso di non corrispondenza della taglia, il capo verrà sostituito con prodotti disponibili all’atto della richiesta di sostituzione. Qualora non fosse possibile la sostituzione per mancanza di capi o per mancato gradimento da parte del cliente, l’operatore rilascerà un buono acquisto di pari importo del prezzo pagato relativo ai capi da sostituire. Buono che il cliente dovrà spendere entro i successivi 120 giorni dall’emissione dello scontrino fiscale (che dev’essere presentato).

Prova prodotti. Il cliente ha diritto di provare i capi per verificarne la corrispondenza della taglia e il gradimento del prodotto. Sono esclusi dalla facoltà della prova i prodotti che rientrano nella categoria della biancheria intima e quei prodotti che, per consuetudine, non vengono normalmente provati.

Uniformità dei prezzi. Le catene di negozi che effettuano saldi si impegnano a porre in vendita gli stessi prodotti agli stessi prezzi. In caso di variazione del prezzo, la variazione viene praticata contemporaneamente in tutti i punti vendita della catena.

Riparazioni. Se il costo per l’adattamento o la riparazione dei capi acquistati è a carico del cliente, l’operatore commerciale deve darne preventiva informazione al cliente stesso e deve inoltre esporre, in modo ben visibile, un cartello informativo sul quale si dichiara espressamente che le riparazioni sono a carico del cliente.

Contenzioso. Eventuali contenziosi fra consumatori e imprese che aderiscono a “Saldi Chiari” saranno esaminati e giudicati dallo sportello di conciliazione istituito dalla Camera di Commercio di Milano.

Enel Green Power, colpo in Brasile

Nuovo colpo per Enel Green Power, che ha completato e allacciato alla rete elettrica l’impianto di Fontes dos Ventos, il primo parco eolico nello Stato di Pernambuco, nel nord est del Brasile.

L’impianto allacciato da Enel Green Power è composto da 34 turbine, per una capacità installata complessiva di 80 MW, e può generare circa 320 milioni di kilowattora all’anno. L’impianto è detenuto dalla società Parque Eolico Fontes dos Ventos Ltda, società controllata da Enel Brasil Participacoes Ltda.

Secondo una nota diffusa da Enel Green Power, la realizzazione dell’impianto eolico, in linea con gli obiettivi di crescita stabiliti nel piano industriale 2014-2018 della società, ha richiesto un investimento complessivo di circa 130 milioni di euro, parzialmente coperto da un finanziamento di IFC (International Finance Corporation), membro della World Bank Group.

Al nuovo parco eolico di Enel Green Power saranno abbinate per la prima volta in Brasile altre fonti di generazione. Nel prossimo gennaio sarà infatti avviata nella stessa area la costruzione di due parchi solari per una potenza complessiva di 11 MW. Una volta in esercizio, gli impianti solari genereranno oltre 17 milioni di kilowattora all’anno.

Le imprese italiane provano a crederci

Una ventata di ottimismo per le imprese italiane in questa alba di 2015 che guarda al futuro dell’economia ancora con incertezza. E la ventata viene da Unioncamere, che ha interpellato le imprese italiane nell’ambito dell’Eurochambres Economic Survey 2015, l’indagine realizzata ogni anno dai sistemi camerali europei.

Ebbene, dal sondaggio di Unioncamere emerge che quasi il 48% delle imprese italiane interpellate pensa che nel 2015 avrà una sostanziale stabilità degli affari, il 27,7% crede che le cose andranno meglio, mentre la percentuale dei pessimisti si ferma al 24,4%, poco meno di un quarto.

In sostanza, sembra che il sistema produttivo italiano inizi a credere, anche se timidamente, nella ripresa economica per il 2015. Un segnale di incoraggiamento per le imprese italiane.

Secondo Unioncamere, dunque, il sentiment complessivo torna positivo, dal momento che per le imprese italiane la differenza tra attese di aumento e di diminuzione del giro d’affari è del 3,3%. Se si considera che un anno fa la percentuale era del -12,8%, il recupero è spettacolare. Ma se si pensa che la media dei Paesi che hanno partecipato al sondaggio è del 10,6%, si capisce che di lavoro da fare ce n’è ancora tanto.

Ne è consapevole il presidente di Unioncamere, Ferruccio DardanelloLe imprese italiane, soprattutto quelle internazionalizzate, sperano davvero che il 2015 sia l’anno conclusivo di questa lunga e difficile crisi. Quest’anno l’Italia avrà appuntamenti importanti, primo tra tutti l’Expò, una straordinaria vetrina che proietterà l’immagine del nostro Paese nel mondo. Mi auguro che essa contribuisca a rilanciare anche il mercato interno, che mostra ancora grandi segni di sofferenza”.

Liberi professionisti, la difesa dei consulenti del lavoro

I liberi professionisti sono da sempre trattati, almeno dalla politica e dal mondo sindacale, come figli di un Dio minore. Dal Fisco no, tant’è vero che i liberi professionisti sono le vacche (sempre più magre) da spremere con tasse e balzelli, così come gli imprenditori.

Per fortuna ogni tanto qualcuno alza la voce in difesa dei liberi professionisti e del lavoro autonomo, ricordando a tutti come il settore sia vitale per l’economia del Paese, oltre che per il bagaglio di cultura e di formazione che si porta dietro.

Ora questo qualcuno sono i consulenti del lavoro, che attraverso la voce del presidente Marina Calderone ribadiscono con forza la necessità di tutelare il lavoro autonomo: “Come liberi professionisti, dobbiamo puntare sempre di più sulla nostra preparazione e formazione, sulla nostra capacità di ascolto e anche di proposizione. Anche perché il 2015 si apre con delle riforme in materia di lavoro che vedranno impegnati i consulenti del lavoro in primis, e tutte le professioni in generale. Per questo, ancora una volta vorremmo chiedere al governo un maggiore attenzione per un segmento spesso dimenticato ma che invece è molto importante: il lavoro autonomo“.

Calderone parla a difesa dei liberi professionisti anche in qualità di presidente del Cup, il comitato unico delle professioni: “Staremo a guardare e vigileremo sui decreti delegati al Jobs Act. Vorremmo vedere un’inversione di tendenza, una maggiore attenzione a tutti quelli strumenti che servono ad accompagnare le persone al lavoro, soprattutto le persone che non hanno un’occupazione perché l’hanno persa“.

Dopo aver espresso gli auspici per il 2015 per i liberi professionisti, Calderone chiude con uno sguardo al 2014 che si è appena concluso: “Il 2014 che si chiude è stato sicuramente un anno caratterizzato dal fenomeno che ci accompagna da qualche anno cioè la crisi che, abbiamo visto, ha contratto ancor di più i consumi e la capacità di spesa delle famiglie e ha amplificato i temi che i consulenti del lavoro seguono nello specifico: la crisi dei posti di lavoro. Questo è l’elemento caratterizzante di quest’anno, una situazione estremamente complicata. Ecco perché noi guardiamo con attenzione agli scenari futuri guardando anche agli strumenti che il governo vorrà mettere in campo per cercare di dare una riposta in termini di incentivi agli investimenti e di creazione di posti di lavoro“.

La grande mazzata delle tariffe pubbliche

Italiani brava gente, da prendere a mazzate tanto non dice mai niente. Un attacco in rima è quasi come un titolo in rima, un abominio nel giornalismo, ma di fronte ai numeri sulle tariffe pubbliche che testimoniano ancora una volta come noi italiani, cittadini e imprenditori, siamo sempre e solo cornuti e mazziati possiamo anche lasciare correre.

L’Ufficio Studi della Cgia ha infatti calcolato che tra il 2010 e il 2014 le tariffe pubbliche in Italia sono cresciute di ben il 19,1%, a fronte di una media europea dell’11,8%. Peggio di noi ha fatto solo la Spagna con un +23,7%, mentre l’Irlanda è riuscita nella dura missione di fare quanto noi in quanto a rincaro delle tariffe pubbliche. In Francia il rincaro medio delle tariffe pubbliche è stato del 12,9%, in Germania solo del 4,2%.

L’Ufficio studi della Cgia ha anche analizzato la tendenza che hanno seguito le principali tariffe pubbliche in Italia nell’ultimo decennio.

Tra il 2004 e i primi 11 mesi del 2014, in Italia si è registrato un incremento dell’inflazione pari al 20,5%, mentre la crescita delle tariffe pubbliche non è stata certo comparabile: acqua +79,5%, rifiuti +70,8%, elettricità +48,2%,  autostrade +46,5%, ferrovie +46,3%, gas +42,9%, mezzi pubblici +41,6%, taxi + 31,6%, poste +27,9%.

Tra queste tariffe pubbliche mancano all’appello solo i servizi di telefonia, che infatti hanno subito un calo: -15,8%, soprattutto per merito della concorrenza ampia e sana del settore.

Non poteva mancare la voce del segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi, specialmente per quanto riguarda, il paradosso dei servizi di raccolta rifiuti e delle relative tariffe pubbliche: “Nel nostro Paese i rincari maggiori hanno interessato le tariffe locali. Se per quanto concerne l’acqua i prezzi praticati rimangono ancora adesso tra i più contenuti d’Europa, gli aumenti registrati dai rifiuti sono del tutto ingiustificabili. A causa della crisi economica, negli ultimi 7 anni c’è stata una vera e propria caduta verticale dei consumi delle famiglie e delle imprese: conseguentemente è diminuita anche la quantità di rifiuti prodotta. Pertanto, con meno spazzatura da raccogliere e da smaltire, le tariffe dovevano scendere, invece, sono inspiegabilmente aumentate. Si pensi che nell’ultimo anno, a seguito del passaggio dalla Tares alla Tari, gli italiani hanno pagato addirittura il 12,2 per cento in più, contro una inflazione che è aumentata solo dello 0,3 per cento”.

Del resto lo abbiamo detto all’inizio: nessuno è bravo come noi italiani a farsi spennare, anche e soprattutto se si parla di tariffe pubbliche.