Premessa: noi di Infoiva siamo sostenitori del made in Italy senza se e senza ma, ma siamo di quelli che non gridano allo scandalo né si stracciano le vesti se pezzi di made in Italy finiscono nelle mani degli stranieri.
Questo perché, spesso, l’intervento dello straniero serve a dare continuità a un brand e a favorirne i livelli occupazionali, evitando che aziende anche blasonate possano chiudere. Se gli stranieri portano idee, capitali, valorizzano la forza lavoro e non snaturano l’essenza dei marchi made in Italy che acquisiscono, ben vengano.
Alla luce di questo, non ci scomponiamo più di tanto di fronte ai dati che emergono da un’analisi di Unimpresa che ha rilevato come gli investitori esteri abbiano superato per la prima volta il 50% di possesso del made in Italy quotato alla Borsa di Milano.
L’analisi di Unimpresa si basa sull’andamento del valore delle aziende italiane nell’ultimo anno, precisamente tra giugno 2014 e giugno 2015, periodo nel quale la capitalizzazione a Piazza Affari delle imprese made in Italy è aumentata di 36 miliardi (+7%), toccando il totale complessivo di 545 miliardi.
Allo stesso tempo la parte di questo made in Italy nelle mani dei grandi gruppi internazionali è salita al 51%, +52 miliardi. Il totale delle loro partecipazioni è ora di 278,7 miliardi di euro. Di contro, il 43% di tutte le imprese, quotate e non, è controllato dalle famiglie, il cui peso nel capitale sociale è pari a 891,2 miliardi, in calo di 28,4 miliardi.
Lo Stato, da ultimo, a giugno 2015 aveva in portafoglio titoli azionari quotati made in Italy per 15,7 miliardi, pari al 2,9% del totale, in calo di 1,1 miliardi (-6,8%) rispetto ai 16,8 miliardi di giugno 2014.
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