La riscossa degli affitti

Abbiamo visto già dai mesi scorsi come il mercato immobiliare italiano abbia ripreso un po’ di dinamismo sul fronte delle compravendite, segno che le famiglie italiane cominciano ad avere un po’ più di fiducia nella ripresa. Aspettando che si risvegli anche il settore delle costruzioni.

Oltre che nel mercato delle compravendite immobiliari, però, si registra una ripresa anche nel mercato degli affitti. Secondo l’ultimo Rapporto sulle locazioni commissionato a Nomisma da Solo Affitti, nel 2015 gli affitti sono aumentati in media in Italia dell’1,7%. I rincari più significativi hanno riguardato gli affitti dei quattro locali (+3,3%) e dei trilocali (+2,4%).

Considerando invece la distribuzione geografica relativa ai rincari degli affitti, la città che ha fatto segnare il maggior incremento è stata Bologna (+11,6%), seguita da Perugia (+9%), Bari (+8,5%), Napoli (+6,3%), Genova (+5,5%) e Catanzaro (+5,2%). Non mancano i capoluoghi di provincia nei quali il prezzo medio degli affitti è calato: Palermo (-7,7%), Potenza e Campobasso (-5%), Roma (-2,2%).

Un altro dato significativo emerso dal Rapporto è stato l’incremento del numero di famiglie che hanno scelto gli affitti come principali modalità abitative: 59,5% nel 2015 contro il 50,3% del 2014 (addirittura 80% a Trento e Palermo).

Fino a qui abbiamo parlato di incrementi, statistiche e percentuali. Ma, nel dettaglio, a quanto ammontano le cifre medie degli affitti degli italiani? Il Rapporto parla di 516 euro al mese (558 se è la casa è ammobiliata, 572 se oltre alla casa si affitta anche il garage). Nettamente sopra alla media nazionale si posizionano Milano (916 euro), Roma (809 euro) e Firenze (642 euro); poco sopra Bologna (568 euro) e Venezia (566 euro).

Al Centro Sud, gli importi medi degli affitti si abbassano sensibilmente: 379 euro al mese a Potenza, 381 euro a Campobasso, 396 a Perugia e 399 a Catanzaro.

Chi ha paura della diversity?

PageGroup ha condotto una ricerca nazionale su un campione di 1.202 intervistati, di cui 372 impiegati in società dove sono applicate le politiche di Diversity & Inclusion, da cui emerge che per 2 aziende su 5, politiche di questo tipo sono gestite da meno di 3 anni.

Si tratta di un fenomeno nuovo, dove c’è ancora molto da fare, soprattutto nelle aziende di dimensioni minori – afferma Tomaso Mainini, Managing Director di Michael Page Italia, parlando dei risultati di questa ricerca sulla diversity -. Un aspetto che abbiamo deciso di approfondire per dare una fotografia di quale sia la situazione in Italia rispetto a un argomento delicato, ma fondamentale per il benessere dei luoghi di lavoro che sappiamo essere decisivo, e questa indagine lo dimostra, sulla motivazione e sulla produttività dei manager e dei dipendenti in generale”.

Dalla ricerca risulta infatti che l’82,5% delle aziende con meno di cento dipendenti non applica pratiche di Diversity & Inclusion. Gli ostacoli allo sviluppo di queste attività sono:

  • la convinzione che non si tratti di tematiche rilevanti per l’azienda nel 39,6% dei casi (54,2% per aziende con meno di cento dipendenti);
  • la mentalità del dipendente e in particolare la non accettazione di determinati gruppi di persone per il 37,1%;
  • uffici non adatti a ospitare personale con disabilità per il 27,5%.

Al contrario, le principali motivazioni per l’’attuazione di politiche di diversity nelle aziende sono l’’adattamento alle imposizioni legali per il 74,2% degli intervistati e ragioni etiche per il 67,4%. Il 62,9 delle donne ritiene che sia importante la ricezione di finanziamenti, mettendo quindi in primo piano l’’aspetto economico.

Sugli ambiti per cui sono state applicate politiche di Diversity & Inclusion nelle aziende in cui queste sono attive (campione 372 dipendenti), il 60,2% ha indicato il genere come area su cui queste pratiche sono state prevalentemente realizzate (il 68,2% per le aziende con più di mille dipendenti); a seguire, la nazionalità per il 59,1%, la razza per il 53,5% e l’’età per il 49,5%. Proprio l’’età è l’’ambito per il quale il 36,2% dei dipendenti pensa che sia più necessario implementare pratiche di diversity perché ancora troppo spesso oggetto di discriminazione.

Tra le principali attività svolte dalle aziende, il 38,7% degli intervistati ha indicato la promozione dell’’uguaglianza tra uomini, donne e razze. Al secondo posto con il 28% contratti e orari flessibili per consentire di conciliare vita privata e professionale. Infine, con il 26,9% le politiche per evitare la discriminazione sessuale, ad esempio durante il processo di selezione o sul posto di lavoro.

Dall’’indagine emerge anche una panoramica sulle caratteristiche che un manager dovrebbe avere per gestire al meglio un team di lavoro eterogeneo. Per il 55,2% degli intervistati la capacità più apprezzata è l’’ascolto attivo. A seguire, si trovano identificazione dei punti di forza e debolezza (47,3%), la capacità di lavorare con team differenti per cultura, usi e costumi (41%), la capacità di comunicare (33%), di identificare le criticità (33%) e di risolvere i conflitti (30,9%). Leggermente meno importanti sono, infine, l’’empatia (26,1%) e la capacità di apprendere dagli altri (18,8%).

Infine, un dato positivo quanto indicativo: il 58,3% delle persone intervistate esprime soddisfazione riguardo alle pratiche di diversity. Nello specifico, gli ambiti in cui sono stati percepiti maggiormente i benefici delle policy attuate sono il miglior equilibrio tra vita professionale e privata (28%), la maggior soddisfazione al lavoro (27,7%) e il miglioramento dell’’employer branding (20,7%).

Casa in montagna? Sì, grazie

Nonostante l’assenza di neve sulle Alpi che ci potrebbe accompagnare fin dopo Natale, per la stagione invernale 2015/2016 arrivano segnali positivi sull’afflusso di turisti, italiani e non, nelle località di montagna del nostro Paese.

Una ventata di positività pare aver interessato anche il mercato immobiliare e quello della casa vacanza in montagna, che ha visto una ripresa della domanda testimoniata anche dalle cifre e dalle dinamiche riscontrate dal Gruppo Tecnocasa.

La stagione invernale è infatti ormai iniziata in molte località e dopo che, negli anni scorsi, la crisi economica si era fatta sentire su questo settore, ora iniziano ad arrivare segnali positivi. Già la scorsa estate si è registrato un aumento del 20% di presenze lungo tutto l’arco alpino, che ha spinto verso l’alto il mercato immobiliare nelle località di montagna.

Nei primi sei mesi del 2015 le quotazioni delle abitazioni di montagna sono diminuite del 3,1%, con buone performance del Trentino Alto Adige (-1,9%), seguito da Piemonte (-2,7%) e Valle d’Aosta (-2,9%). In Abruzzo il calo più forte dei valori, con -8,5%, seguito dal Veneto (-4,4%).

Piacciono soprattutto le località di montagna più dinamiche e vivaci, che offrono al turista più esperienze e servizi: dallo shopping alle terme, passando per la gastronomia. E sono spesso i turisti che, una volta presa confidenza con il luogo, si informano poi per acquistare la casa.

Questa ventata di positività sembra aver interessato anche il mercato della casa vacanza di montagna che, nel primo semestre del 2015, ha visto una contrazione dei prezzi ma anche una ripresa della domanda grazie a valori più bassi e a mutui più convenienti.