Banche italiane deboli? Non proprio…

Negli ultimi mesi le banche italiane sono state sotto assedio in Borsa e sottoposte ai duri stress test della Bce. Proprio in seguito a questi ultimi, abbiamo cominciato a sentir parlare di indice CET1, che definisce il rapporto tra il “capitale primario di base di classe 1” e le attività ponderate per il rischio, definendo il grado di copertura dei rischi assunti dalle banche con le risorse proprie più rilevanti.

Gli stress test hanno evidenziato che, relativamente all’indice CET1, l’Italia risulta ultima nell’area euro, ma i dati esaminati dall’Ufficio Studi della Cgia indicano per il sistema bancario italiano un CET1 pari all’11,8% a fine 2015, un valore nettamente più basso rispetto agli altri paesi dell’area Euro ma non tanto lontano dai risultati di Paesi come Francia (12,6%) e Spagna (12,7%); le banche tedesche si attestano invece su valori più elevati (14,9%).

Il fatto che l’Italia sia all’ultimo posto non deve generare allarmismo. Dal punto di vista delle regole di Basilea III, che entreranno completamente in vigore nel 2019, le banche italiane hanno coefficienti patrimoniali molto elevati rispetto alle soglie minime previste che fissano il CET1 al 7%.

Un allarmismo che si riflette negativamente anche sul rapporto tra banche e imprese, come ricorda il segretario della Cgia, Renato Mason: “Purtroppo la continua implementazione di nuove regole in ambito europeo e gli stress test sui singoli istituti di credito, peraltro costruiti su ipotesi di simulazione estremamente negative e difficilmente realizzabili stanno condizionando il mercato del credito in Italia e le banche si dimostrano troppo prudenti nella concessione dei finanziamenti alle imprese”.

La Cgia ricorda anche come, rispetto ai grandi sistemi bancari dell’area Euro, le banche italiane abbiano beneficiato di minori aiuti di Stato tra il 2008 e il 2014, specialmente sul fronte delle ricapitalizzazioni, spesso utilizzati su larga scala da Germania, Irlanda e Spagna. Questi Paesi hanno fornito capitale ai loro istituti rispettivamente con 64,2 miliardi di euro, 62,8 miliardi e 61,9.

Se si estende l’analisi degli aiuti di Stato alle banche anche agli altri strumenti previsti (copertura attività deteriorate, garanzie su passività e altre misure), i dati della Commissione Europea mettono in cima alla classifica l’Irlanda con 350,5 miliardi di aiuti in 7 anni, seguita da Germania (283,9) e Spagna (186,0). Il totale per l’Italia è stato di poco superiore a 93 miliardi.

Il fatto che in Europa vi siano sistemi bancari che presentano indici migliori rispetto a quelli italiani dipende anche, come sottolineato da alcuni studi, dalla minore esposizione delle banche in attività extra-creditizie come i derivati, per le quali non è stato ancora definito un metro di valutazione dei rischi. Ciò significa che i Paesi le cui banche sono più esposte sul fronte del credito alle imprese e meno sui derivati, come l’Italia, hanno attivi pesati per il rischio più elevati che tendono a comprimere l’indice CET1.

Inoltre, ricorda la Cgia, non è da escludere che gli aiuti di Stato abbiano influito su questi coefficienti, dal momento che nel computo del capitale versato alle banche è necessario includere eventuali ricapitalizzazioni portate a termine dalle autorità pubbliche per gestire le situazioni di emergenza.

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