Embargo Russia, conto sempre più salato per il made in Italy

Sono ormai passati due anni dall’inizio dell’embargo economico verso la Russia, in seguito alla guerra di quest’ultima con l’Ucraina e il conto che si presenta al made in Italy è sempre più salato. Secondo Coldiretti questi due anni di sanzioni sono costati all’export del nostro Paese 7,5 miliardi rispetto ai valori che si registravano negli anni precedenti l’embargo.

Coldiretti sottolinea come l’agroalimentare è l’unico settore del made in Italy ad essere colpito direttamente dalle sanzioni, ma il blocco dell’import nel Paese di Putin ha trascinato con sé i prodotti di altri settori chiave del made in Italy, dalla moda ai mezzi di trasporto.

Coldiretti stima infatti che il solo nel settore del tessile e della pelletteria, i cui prodotti sono tradizionalmente amati dai russi, abbia registrato perdite per circa 2 miliardi negli ultimi due anni, mentre per i mezzi di trasporto il calo sia stato di circa ai 1,2 miliardi e di 600 per l’agroalimentare made in Italy.

Il danno per l’agroalimentare made in Italy è, secondo l’associazione dei coltivatori diretti, ancora più rilevante se si considera che nei cinque anni precedenti l’embargo, l’export del settore era cresciuto a tripla cifra in valore, +112%.

Oltre al danno, però, c’è anche la beffa. La sparizione dei prodotti agroalimentari italiani dal mercato russo ha consentito che si diffondessero sullo stesso mercato dei prodotti alimentari che imitano quello made in Italy ma che non hanno nulla a che vedere con essi, alimentando così il dannoso fenomeno del cosiddetto “Italian sounding” e creando ulteriore danno economico.

Secondo il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, “ancora una volta il settore agroalimentare è divenuto merce di scambio nelle trattative internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale. Si tratta di un costo insostenibile per l’Italia e l’Unione Europea dove sono crollati i prezzi dei prodotti che venivano tradizionalmente esportati in Russia provocando una crisi senza precedenti in settori sensibili come ad esempio quello del latte”.

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