Investire in valuta ha senso?

Una delle possibili forme di diversificazione è l’investimento in valuta diversa dall’euro. In pratica, si scommette sulla variazione del tasso di cambio, entro un certo tempo, tra euro e valuta straniera.

Le possibilità di investimento sono diverse: si va dai fondi ed ETF in valuta a cambio aperto, che non hanno cioè protezioni del rischio cambio come invece hanno i fondi cosiddetti a valuta coperta (Hedged), alle obbligazioni e alle azioni espresse in valute diverse dall’euro, a ETF e fondi che investono solo nelle variazioni dei tassi di cambio ma espressi in euro, agli ETF a leva sul rapporto di cambio, ad ETF che investono sul rapporto invertito, cioè guadagnano se il tasso di cambio perde, semplici o a leva, al mercato Forex, dove si può investire direttamente nella valuta che si preferisce, ai future nelle diverse valute, ai certificati in valuta.

Per i fondi, ETF, obbligazioni e azioni espressi in altre valute, il rischio è connesso sia all’andamento del fondo o del titolo, sia all’andamento della valuta.

Per gli investimenti semplici nella sola valuta, il rischio è solo correlato all’andamento del tasso di cambio.

Più complessi sono invece i prodotti a leva o inversi, che cioè investono più di quello che si ha pagato, con effetto appunto LEVA sui risultati: possono essere leva 2, 3, 5 etc. Significa che si investono 1000 euro, ad esempio, ma si guadagna come se si fossero investiti 2000 (leva 2). Il difetto è che si perde nello stesso modo, quindi si può perdere più di quello che si è investito inizialmente.

Parlando di valute, l’andamento delle stesse è piuttosto imprevedibile e quindi il rischio di vedere i movimenti amplificati dall’effetto leva può diventare o un’opportunità di guadagno o una batosta memorabile.

Ad esempio, il franco svizzero guadagnò nel gennaio 2015 il 25% sull’euro in poche ore, subito dopo che la Banca Nazionale Svizzera decise di togliere la parità fissa a 1,20, per poi perdere terreno nel corso di un anno e mezzo per circa 10 punti percentuali. Prima della decisione, le idee su come si sarebbe evoluto il tasso di cambio erano opposte: chi pensava si sarebbe rivalutato e chi invece no.

Anche la storia non aiutava molto. Quando nel 2011 la BCS decise di fissare il limite massimo con l’euro a 1,20, la reazione fu prima di rivalutazione per poi portarsi alla soglia prefissata.

La sterlina inglese, invece, ha perso dal 23 giugno scorso a oggi, era del post Brexit, circa il 10%, e dal luglio 2015, quindi in un anno, circa il 17%. In questo caso era abbastanza prevedibile che se il Regno Unito fosse uscito dall’Ue, la sua valuta avrebbe accusato il colpo. Ma chi poteva prevedere che avrebbero vinto i LEAVE? Neppure i sostenitori dell’uscita sembrano crederci tuttora…

Domani parleremo di movimenti valutari e di valuta rifugio.

dott. Marco Degiorgis – Consulente patrimoniale e finanziario indipendente, Studio Degiorgis

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