Settore costruzioni e sofferenze bancarie

Che quello delle costruzioni sia il settore che maggiormente ha patito e continua a patire i colpi feroci della crisi, è un dato di fatto. Una situazione che, a cascata, ha creato altri pesanti contraccolpi al settore, come ha rilevato l’Ufficio Studi della Cgia in una recente analisi.

Gli artigiani mestrini hanno infatti constato che le imprese del settore dell’edilizia e le attività immobiliari generano il 41,4% delle sofferenze in capo alle imprese. La filiera delle costruzioni, rileva la Cgia, ha in essere 64,8 miliardi di euro di crediti problematici su un totale di 156,8 miliardi generati dalle imprese (dati rilevati a fine luglio 2016).

Entrando più nel dettaglio, il comparto delle costruzioni è primo nella classifica delle sofferenze con 43,1 miliardi a fine luglio 2016 (27,5% del totale), mentre le attività immobiliari (compravendita di beni immobili, affitto e gestione di immobili, intermediazione immobiliare e gestione di immobili per conto terzi) ne hanno 21,7 (13,9%).

La filiera immobiliare e delle costruzioni batte di gran lunga in termini di sofferenze, il settore manifatturiero (35,1 miliardi, 22,4%) e del commercio (26,8 miliardi, 17,1%).

“È necessario premettere – puntualizza il coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia, Paolo Zabeoche la crescita delle sofferenze è direttamente un riflesso dello stato di profonda crisi in cui versa il comparto edilizio e delle costruzioni, che ha perso circa un terzo del suo valore aggiunto tra il 2007 e il 2015. E se diversi settori economici hanno beneficiato di una piccola ripresa nel biennio 2011-2012 e nell’anno 2015, per l’edilizia in otto anni c’è sempre stato il segno meno; anche per il 2016 c’è incertezza dal momento che segnali di ripartenza chiari non stanno ancora emergendo”.

La situazione di crisi e di difficoltà a restituire il credito da parte del settore delle costruzioni ha un riflesso diretto sull’ammontare dei prestiti. In 5 anni il credito alle imprese delle costruzioni è infatti calato di 35,3 miliardi (-20,2%), passando da 174,6 miliardi di fine luglio 2011 a 139,3 miliardi dello stesso periodo del 2016.

Nonostante ciò, la filiera immobiliare (costruzioni e attività immobiliari) è la prima destinataria del credito alle imprese con il 28,9% (253,7 miliardi a fine luglio 2016), seguita dalla manifattura (210,7 miliardi, pari al 24%) e dal commercio (142,3 miliardi, pari al 16,2%).

Infine un’analisi sui settori nei quali il peso delle sofferenze incide di più sui prestiti. Anche in questo caso, prime le costruzioni con il 30,9%. Spacchettando il dato, le costruzioni generano 43,1 miliardi di euro di sofferenze su un totale prestiti di 139,3 miliardi, seguite dalla filiera immobiliare e dalle attività immobiliari 19%.

Il segretario della Cgia, Renato Mason, lancia un allarme e un appello: “Chiediamo a tutte le forze politiche presenti in Parlamento di attivarsi per istituire una Commissione di inchiesta che individui le responsabilità di coloro che hanno generato questa montagna di crediti deteriorati e di chi ha concesso prestiti con troppa generosità a chi non se lo meritava”.

Il mercato immobiliare residenziale nei primi 9 mesi del 2016

Prendendo spunto dalla pubblicazione, avvenuta lo scorso giovedì, dei dati delle compravendite immobiliari relativi al secondo trimestre 2016 da parte dell’Agenzia delle Entrate, il sito Casa.it ha provato a estendere l’analisi ai primi nove mesi del 2016 per fare un punto più ampio sul mercato immobiliare residenziale.

Secondo la rilevazione di Casa.it, rispetto allo scorso anno, a livello generale la domanda di abitazioni è in crescita sia a livello nazionale (+6%), sia in tutte le principali città metropolitane e il mercato immobiliare residenziale è ben mosso.

Nello specifico, la più “dinamica” risulta Milano (+8,9%). Seguono Roma (+6,9%), Torino (+6,2%), Firenze (+5,8%), Bologna (+5,2%), Palermo (+5,1%), Genova (+4,9%) e Napoli (+4,8%). Dati che, seppur positivi, hanno visto rallentare la crescita del mercato immobiliare residenziale se confrontati con i primi 4 mesi dell’anno.

Rispetto ai primi nove mesi del 2015, la domanda di case nelle grandi città italiane segna una crescita media di 6 punti percentuali – commenta Alessandro Ghisolfi, Responsabile del centro Studi di Casa.it -, con picchi di richieste superiori alla media a Milano, Torino e Roma. Il trend in aumento è positivo da oltre 18 mesi e conferma che l’interesse verso il mercato immobiliare residenziale, da parte delle famiglie italiane, si è rafforzato rispetto al biennio precedente”.

Analizzando l’andamento mensile – prosegue Ghisolfivi sono però alcuni segnali che portano ad essere ancora prudenti prima di poter affermare con decisione che il mercato sia decisamente uscito dalle secche della crisi che attanaglia il segmento abitativo da circa otto anni. Infatti, nel periodo estivo (luglio-settembre), la crescita della domanda, pur positiva, non ha mantenuto la velocità dei primi 3 mesi dell’anno, registrando un rallentamento dei ritmi di crescita che gli stessi operatori hanno rilevato. In nessuna delle città esaminate si registrano dati negativi ma, nel confronto mese su mese, si nota una differenza percentuale delle richieste che non supera i 2/3 punti, denotando così un leggero cambio di velocità”.

Sul fronte dei prezzi degli immobili residenziali in offerta sul mercato, a livello nazionale nel mese di settembre 2016 si rileva una contrazione dell’1,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno mentre, tra le città metropolitane, quelle che hanno sofferto maggiormente sono Firenze e Genova (-3,5%).

Calo, seppur più contenuto, per il mercato immobiliare residenziale di Napoli (-1,5%), Milano (-1,3%), Bologna e Palermo (-1,2%), Torino (-0,6%) e Roma (-0,3%). Tra le città più care si evidenziano Firenze (3.970 euro/mq), Milano (3.900 euro/mq) e Roma (3.500 euro/mq).

Sulla base soprattutto della vivacità dimostrata nella primavera di quest’anno – conclude Ghisolfi – le stime per fine 2016 erano ampiamente positive. Negli ultimi tre mesi tuttavia la spinta propulsiva sembra aver perso brillantezza, proprio nel periodo in cui storicamente il mercato ha sempre dato le migliori performance. In sostanza si stanno rivedendo le previsioni che parlavano di un 2016 come dell’anno della definitiva ripresa del mercato”.

Il retail italiano alza la testa

Il settore del retail in Italia prova a rialzare la testa dopo gli anni della crisi contando sulla lieve ripresa dei consumi interni e sulla solidità del franchising, senza dimenticare di guardare all’estero.

Non è un caso, infatti, che nel 2015 il retail italiano abbia fatto segnare un valore di spesa di circa 900 miliardi di euro, spinto verso l’alto dalle ottime performance del food (+31,3% anno su anno), della moda (+7,2%), dell’intimo (+6,3%).

Sono solo alcuni dei numeri emersi dal rapporto Italian style, i modelli vincenti nel food fashion & design, stilato dalla società di consulenza Ey e presentato nel corso del Retail Summit organizzato nei giorni scorsi a Cernobbio da Confimprese.

Dal rapporto emerge soprattutto la forza del franchising, nel quale il retail italiano ha delle vere eccellenze nei settori cibo, intimo e moda, che stanno effettuando importanti investimenti anche all’estero.

Come ha ricordato infatti il presidente di Confimprese, Mario Resca, parlando delle potenzialità occupazionali del franchising, il settore ha creato “quasi 10mila nuovi posti di lavoro, in crescita del 18% sul 2015. Fashion e food si confermano tra i settori più vitali con rispettivamente 873 e 320 nuovi locali”.

Il retail made in Italy, ha concluso Resca, ha visto nel 2015 una grande espansione all’estero con le aperture di nuovi punti vendita “in crescita del 35% sul 2015. Tra i settori più vivaci ancora una volta proprio abbigliamento e cibo”.

Split payment, chiarimenti dalle Entrate

L’Agenzia delle Entrate interviene sul tema dello split payment con una risoluzione nella quale ricorda che l’Iva relativa all’accertamento definito dalla società istante, a seguito dell’avvenuto pagamento delle somme dovute, può essere addebitata in via di rivalsa anche nei confronti di soggetti per i quali di norma si applica lo split payment. Questo in deroga alle disposizioni che normano l’applicazione delle regole della scissione dei pagamenti.

Ricordiamo che il meccanismo dello split payment è stato introdotto per tentare di limitare l’evasione da riscossione dell’Iva, nell’ambito delle cessioni di beni e prestazioni di servizi nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

Con la scissione dei pagamenti si trasferisce il pagamento del debito Iva dal relativo fornitore alle amministrazioni stesse, effettuando un trasferimento in termini di obbligo di versamento che non implica la traslazione della soggettività passiva.

Per questo motivo, quindi, l’Amministrazione finanziaria può contestare la maggiore imposta dovuta al fornitore che emette una fattura con l’applicazione dell’Iva sbagliata.

Il successivo versamento da parte del fornitore, in sede di definizione dell’accertamento, vanifica rischi e pericoli legati al mancato incasso dell’imposta che, invece, è sotteso all’applicazione dello split payment.

Gli italiani e il catering

Cresce tra gli italiani l’amore per il catering. Una passione che nasce dalla cultura del cibo e del mangiar bene e che ha i suoi costi. Quali siano questi costi e quali le richieste più diffuse in materia di catering, ha provato a scoprirlo ProntoPro.it, sito del che mette in contatto domanda e offerta di lavoro professionale e artigianale.

Ebbene, secondo l’Osservatorio di ProntoPro.it, per un servizio di catering personalizzato non legato a un matrimonio si spendono in media 48 euro a persona, con differenze da città a città.

L’indagine, condotta analizzando i costi richiesti dai professionisti per preparare il pranzo o la cena per un evento o anche un servizio a casa del cliente, ha infatti rivelato che la spesa per il catering varia notevolmente a seconda della città in cui ci si trova, oscillando fra i 38 e i 60 euro a persona. Prendendo in considerazione una cena con almeno 20 persone, in Italia si spendono in media quasi 1.000 euro.

Se a Milano i prezzi possono salire fino a 60 euro a persona, anche Roma si conferma una tra le città in cui i costi per la creazione di un evento personalizzato sono maggiori, con un +15% rispetto alla media nazionale. Le aree dove la media dei costi del catering è inferiore rispetto a quella nazionale sono le città del Sud. Su tutte spiccano Potenza e Bari, in cui si registrano costi inferiori ai 40 euro a persona.

Sul fronte delle preferenze di cibo, l’analisi ha rilevato che le richieste online ricevute dai professionisti vanno in una direzione salutista. I cibi green, bio, light, etnici e sperimentali formano infatti i menu più scelti.

Inoltre, con la scelta del catering si riesce a rispondere alle esigenze di coloro che desiderano un servizio fatto su misura: dalla location, all’occorrente, fino ai dettagli degli allestimenti e a tutto ciò che fa di un evento un qualcosa di unico.

Il settore del food in Italia non conosce crisi – ha commentato Marco Ogliengo, amministratore delegato di ProntoPro.it -. Sul nostro sito negli ultimi sei mesi le ricerche per catering e banqueting sono aumentate del 47%. Questa tendenza si può spiegare soprattutto osservando la capacità dei professionisti del settore di adeguarsi ai cambiamenti della società e dei costumi degli italiani che sono sempre più impegnati e meno disponibili a impiegare il proprio tempo cucinando”.