I numeri dei saldi

Mentre in alcune regioni i saldi invernali sono partiti sabato 2 gennaio, nella maggior parte delle città la corsa all’affare inizia oggi. Tra queste città ci sono anche le regine dello shopping come Roma e, soprattutto, Milano, che in occasione dei saldi invernali 2016 torna a vestire l’abito di capitale della moda.

Un ruolo che sui saldi invernali avrà un impatto forte e positivo, almeno stando alle stime di FedermodaMilano (Confcommercio Milano), che prevede per il capoluogo meneghino un valore complessivo delle vendite di 454 milioni di euro, con una previsione di acquisto medio a persona di 176 euro e un incremento nel valore dei saldi invernali milanesi di oltre il 4% rispetto ai saldi 2015.

A Milano e in Lombardia i saldi partono martedì 5 gennaio come coerentemente stabilito nell’ambito della decisione della Conferenza delle Regioni di una data unica nazionale – afferma Renato Borghi, presidente di FedermodaMilano e Federazione Moda Italia -. I saldi restano un’occasione importante: un ‘rito’ collettivo capace di attrarre l’interesse di milanesi e di turisti e visitatori invogliati dalla qualità del made in Italy. I consumatori trovano anche quest’anno un ampio assortimento a prezzi competitivi. Per gli operatori commerciali si tratta soprattutto di dare continuità (incrementando i ricavi più che i guadagni) ai segnali di ripresa avvertiti nelle vendite di Natale tenendo però anche conto che, su alcuni prodotti, la stagione invernale, di fatto, non è ancora iniziata. Non sono, quindi, certamente dissipate le preoccupazioni del dettaglio moda multimarca indipendente di qualità, ma un risveglio dei consumi si è registrato anche grazie ad Expo dopo anni di segni negativi e le nostre stime sulle vendite in saldo ne tengono conto”.

Servono, ora – prosegue Borghisegnali forti e politiche di sostegno e rilancio dei consumi nei negozi. Nel primo semestre del 2015 hanno chiuso in provincia di Milano 203 negozi di moda (113 nel solo Comune di Milano) a fronte di 106 nuove aperture (58 nel Comune di Milano). E il clima mite ha ridotto fortemente le vendite di capi più pesanti influendo anche sulle vendite di calzature e accessori di stagione”.

Secondo FedermodaMilano gli sconti medi per questi saldi invernali milanesi andranno dal 30 al 40% e, in concomitanza con le vendite a prezzi ribassati, torna la tradizionale iniziativa dei “Saldi chiari” promossa da FedermodaMilano in sintonia con le associazioni dei consumatori. Ecco i capisaldi.

  • Carte di credito. Durante i saldi l’operatore commerciale non può rifiutare il pagamento con carta di credito.
  • Cambi merce. Il dettagliante si impegna a sostituire, se possibile, o a rimborsare i capi acquistati che presentano gravi vizi occulti così come previsto dal Codice Civile ed in particolare dalle norme di recepimento della Direttiva 1999/44/CE. Nel caso di non corrispondenza della taglia, il capo verrà sostituito con prodotti disponibili all’atto della richiesta di sostituzione. Qualora non fosse possibile la sostituzione per mancanza di capi o per mancato gradimento da parte del cliente, l’operatore rilascerà un buono acquisto di pari importo del prezzo pagato relativo ai capi da sostituire. Buono che il cliente dovrà spendere entro i successivi 120 giorni dall’emissione dello scontrino fiscale (che dev’essere presentato).
  • Prova prodotti. Il cliente ha diritto di provare i capi per verificarne la corrispondenza della taglia e il gradimento del prodotto. Sono esclusi dalla facoltà della prova i prodotti che rientrano nella categoria della biancheria intima e quei prodotti che, per consuetudine, non vengono normalmente provati.
  • Uniformità dei prezzi. Le catene di negozi che effettuano saldi si impegnano a porre in vendita gli stessi prodotti agli stessi prezzi. In caso di variazione del prezzo, la variazione viene praticata contemporaneamente in tutti i punti vendita della catena.
  • Riparazioni. Se il costo per l’adattamento o la riparazione dei capi acquistati è a carico del cliente, l’operatore commerciale deve darne preventiva informazione al cliente stesso e deve inoltre esporre, in modo ben visibile, un cartello informativo sul quale si dichiara espressamente che le riparazioni sono a carico del cliente.

Pil e crisi, le cifre di un massacro

La crisi economica ha fatto strage del tessuto produttivo italiano e anche il Pil del nostro Paese ha subito un pesante colpo dal quale si riprenderà con moltissima fatica. È un dato di fatto certificato anche dai numeri, come ha rilevato l’Ufficio studi della Cgia.

Gli artigiani mestrini hanno infatti rilevato che dal 2007, anno di inizio della crisi, il Pil italiano è calato di oltre l’8%, trascinando a fondo anche i consumi delle famiglie (-6,5%) e gli investimenti, crollati di quasi il 27,5 %. Il rovescio della medaglia è dato dalla disoccupazione che, al contrario del Pil, ha subito un’impennata di quasi il doppio: dal 6,1% del 2007 al 12,1% atteso per il 2015.

Questo contraltare di Pil e disoccupazione è un trend ben presente agli artigiani mestrini, che vogliono sensibilizzare il governo sullo scenario italiano a medio e lungo termine. Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo ,“il Premier Renzi fa bene a trasmettere ottimismo e fiducia. La situazione, tuttavia, rimane ancora molto delicata. Per recuperare il terreno perso ci vorrà molto tempo. Se nel prossimo futuro il Pil crescerà di almeno 2 punti ogni anno, il nostro Paese tornerà alla situazione pre-crisi solo nel 2020”.

La Cgia ricorda che per far ripartire il Pil è necessario ridare vita agli investimenti che, come scritto sopra, negli anni della crisi sono calati di oltre un quarto rispetto ai livelli precedenti. In termini netti, il calo del 27,5% di cui sopra equivale a -109,4 miliardi, al netto dell’inflazione.

Gli investimenti – conclude Zabeosono una componente rilevante del Pil. Se non miglioriamo la qualità dei prodotti, dei servizi e dei processi produttivi siamo destinati a impoverirci. Senza investimenti questo paese non ha futuro. Ricordo, altresì, che le imprese contribuiscono per oltre il 60% del totale nazionale degli investimenti. Queste ultime, pertanto, saranno chiamate a giocare un ruolo determinante. Per fare ciò, il sistema creditizio, anche alla luce delle operazioni TLTRO e Quantitative Easing, dovrà sostenere le imprese con nuova liquidità: altrimenti, con quali risorse gli imprenditori potranno rilanciare gli investimenti?”.

Le sfide di Confassociazioni Terzo Settore

Confassociazioni Terzo Settore è pronta per lanciarsi in campo guardando con attenzione tutte quelle associazioni, fondazioni e cooperative che credono nel valore professionale ed economico delle loro persone, dei servizi che offrono e dell’innovazione ed energia che investono quotidianamente di fronte alle sfide sociali”. Lo ha dichiarato in una nota la sua presidente, Paola Palmerini.

I dati del terzo settore sono importanti – prosegue Palmerini -. Se guardiamo le sole imprese sociali, intese come organizzazioni no profit costituite dalla legge 155/2006, siamo a quota 768, ma se andiamo ad approfondire l’analisi, i numeri sono ben altri: 4 milioni di volontari che operano in modo strutturato in Italia, 25 ore settimanali che ogni volontario dedica a questa attività, 302mila le associazioni censite. E un totale economico che genera il 5% del prodotto interno lordo Italiano”.

Di fronte ad un mondo così vasto, variegato, ma fortemente valoriale – prosegue ancora la presidente di Confassociazioni Terzo Settoreabbiamo preso in considerazione alcuni principi cardine su cui lavorare e che andremo a condividere non solo con le realtà associative del Terzo Settore italiano, bensì di quello internazionale: professionalità, competenza, trasparenza, cooperazione e fiducia. Con un obiettivo semplice e funzionale: lavorare ad un tavolo aperto tra aziende, stato, terzo settore e famiglie per dar vita ad un secondo welfare, un welfare non più solo aziendale, ma privato, dedicato al singolo cittadino”.

Su queste basi, Confassociazioni Terzo Settore – conclude Paola Palmeriniapre i suoi lavori con tre tavole rotonde/incontri aperti nel 2016 (marzo-giugno-ottobre) su Identità Sociale nel Rilancio e Sviluppo delle Imprese: Ruolo e Strumenti e Professionalità dalla Voce del Terzo Settore, in cui, oltre al coinvolgimento di diverse competenze specifiche, si farà leva sulla dimensione degli iscritti e sulle relazioni e sostegno delle politiche di sviluppo”.

Pronti, saldi, via!

Anche quest’anno sono partiti i saldi invernali e, come sempre, si susseguono e si accavallano i calendari e i consigli su come, cosa e dove acquistare per evitare fregature.

Di solito, noi di Infoiva non amiamo dare notizie di questo tipo: il vademecum dei saldi in estate e in inverno, i consigli per proteggersi dall’afa in estate, i consigli per il cenone di Natale o per i botti sicuri a Capodanno… Ci rendiamo conto però che, spesso, le cosiddette notizie di servizio servono a qualcosa. Per cui… ecco qui calendario dei saldi e consigli per gli acquisti sicuri.

Per i saldi invernali 2016, il calendario di avvio è piuttosto semplice: il 5 di gennaio in tutte le regioni, tranne in Sicilia, Campania, Valle d’Aosta e Basilicata, dove la stagione dei saldi ha preso avvio il 2 di gennaio. Quello che cambia è il calendario di chiusura:

  • Lazio: 15 febbraio;
  • Liguria: 18 febbraio;
  • Piemonte, Puglia, Veneto: 28 febbraio;
  • Marche: 1 marzo;
  • Basilicata: 2 marzo;
  • Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Lombardia, Molise, Sardegna, Umbria, Toscana: 5 marzo;
  • Sicilia: 15 marzo;
  • Campania, Friuli: 31 marzo;
  • Valle d’Aosta, provincia di Trento: a discrezione dei commercianti.

Per evitare fregature o incauti acquisti durante i saldi, è necessario seguire alcune semplici regole di buon senso:

  • Non fermarsi al primo negozio ma comparare le offerte di diversi punti vendita, per trovare quelle davvero convenienti;
  • Sfruttare i primi 5 giorni per trovare i prodotti dell’ultima stagione e la taglia che si sta cercando; sfruttare gli ultimi se non si hanno pretese sull’ultimo modello e se si vogliono spuntare le occasioni migliori;
  • Verificare che il prezzo non sia stato artificialmente aumentato prima di essere ridotto;
  • Provare sempre il capo di abbigliamento;
  • Controllare che l’articolo non sia difettoso (questo sempre, non solo nei saldi);
  • Conservare lo scontrino per eventuali cambi (questo sempre, non solo nei saldi);
  • Controllare che sul cartellino del prodotto vi siano il vecchio e il nuovo prezzo.

Continua il buon momento dei mutui

Sarà anche merito della ripresa in atto, dei tassi d’interesse a minimi e dei prezzi delle case in calo, fatto sta che in Italia continua il buon momento dei mutui. Un trend confermato dall’Osservatorio sui mutui dei portali Mutui.it e Facile.it, secondo le cui rilevazioni nello scorso semestre il finanziamento medio concesso è stato di circa 123mila euro, +2,4% rispetto alla rilevazione di sei mesi fa e +8% anno su anno.

I due siti hanno analizzato le domande di mutui e le erogazioni registrate tra maggio e ottobre 2015 e i risultati hanno rivelato un livellamento tra la cifra richiesta e quella effettivamente ottenuta dalle banche. Il livellamento è la conseguenza, da una parte, del fatto che gli italiani richiedono somme in linea con i propri livelli di reddito e proporzionali al valore dell’immobile, dall’altra dalla maggiore disponibilità delle banche a concedere mutui e prestiti.

Come conseguenza di questo trend il loan to value medio, ossia la percentuale erogata in rapporto al valore dell’immobile da acquistare, è salito ancora e adesso è al 56,4%. Stabili rispetto a maggio scorso sono rimasti l’età media del mutuatario (40 anni) e la durata media dei mutui erogati (21 anni).

Per quanto riguarda la tipologia delle erogazioni, la finalità più ricorrente è la surroga (spesso anche surroga di surroga), il cui numero è raddoppiato rispetto alla rilevazione del maggio scorso (+96%). Complessivamente, le surroghe rappresentano il 59% di tutte le erogazioni del semestre, dopo le quali vengono i mutui prima casa (29%).

Si rafforza, rispetto al semestre precedente, la predilezione per i mutui a tasso fisso: le domande di finanziamento di questo tipo salgono al 64,3%, mentre i mutui a tasso variabile raccolgono circa il 32% di tutte le domande.

Crowdfunding e impresa in Italia

Quando in Italia prende piede una nuova tendenza, specialmente se legata al web e specialmente se con un nome inglese, in molti si fanno prendere dalla smania della novità e cominciano a cavalcare la moda. Con il fenomeno del crowdfunding, per esempio, succede così.

Ricordiamo che con crowdfunding si indica una formula che, attraverso il web, consente di raccogliere piccoli finanziamenti da parte di soggetti potenzialmente sterminati, il cui totale consente poi a chi ne beneficia di realizzare progetti di varia natura (imprenditoriale, politica, sociale…), ricompensando i donatori con riconoscimenti vari, i più significativi dei quali sono parte dei profitti o azioni della società finanziata, qualora si tratti di progetti del cosiddetto equity crowdfunding.

La raccolta dei fondi sul web avviene attraverso apposite piattaforme cui aderiscono i soggetti che hanno progetti da finanziare in crowdfunding. Per fortuna, in Italia non è possibile svegliarsi al mattino e implementare una piattaforma a questo scopo; quelle che ci sono, e quelle che vorranno esserci, sono sottoposte a normativa Consob, la società che vigila sulle operazioni di Borsa.

C’è infatti in Consob un apposito registro nel quale, tra le altre cose, i soggetti che vogliono attivare piattaforme di crowdfunding devono certificare la propria affidabilità e la qualità del servizio da loro reso. Fanno parte di questo registro i soggetti che ne fanno richiesta (accettata…), le banche e le società di investimento (Sim).

Come si diceva, quindi, anche l’Italia sta scoprendo il fenomeno del crowdfunding anche se i numeri in gioco sono per forza di cose minori che in altre realtà mondiali. Un po’ per il fatto di essere arrivati dopo, un po’ per le dimensioni non esagerate dei progetti finanziati nel nostro Paese. Stando alle cifre attuali, negli ultimi 12 mesi le piattaforme nostrane hanno raccolto circa 11 milioni di euro su un totale di 23, a fronte degli 1,6 miliardi di dollari del Nord America.

Eppure, specialmente per le start-up innovative, le realtà maggiormente inclini a ricorrere al crowdfunding per il proprio finanziamento, l’occasione è di quelle ghiotte. A maggior ragione se si sceglie di utilizzare la formula dell’equity crowdfunding (di cui abbiamo detto sopra) anziché quelle più classiche del crowdfunding per prestito o per donazione.

Anche perché la normativa Consob che regola la prassi dell’equity crowfunding è decisamente all’avanguardia in Europa e nel mondo, essendo stata varata in anticipo persino rispetto a quella americana.

Inoltre, i margini di sviluppo dell’equity crowdfunding sono decisamente più ampi delle formule in prestito o donazione: basti pensare che, a livello globale, questo tipo di formula cuba circa 116 milioni di dollari (30% annuo), contro i 1,2 miliardi di dollari del crowdfunding su prestito (+111% annuo) e degli 1,4 miliardi di quello su donazione (+85%).

Accordo Equitalia-Codacons

Buone notizie per i consumatori italiani, specialmente per quelli che si trovano a gestire pratiche e contenziosi con Equitalia; che sono momenti non sempre rilassanti e vissuti con leggerezza…

Attraverso un proprio comunicato, Equitalia ha infatti informato l’avvio di una collaborazione con il Codacons attraverso un apposito protocollo di intesa firmato dal presidente di Equitalia Vincenzo Busa e da quello del Codacons Carlo Rienzi.

In virtù dell’accordo, attraverso uno sportello telematico raggiungibile con un link all’interno del sito di Equitalia nell’area Associazioni e Ordini, i delegati del Codacons potranno richiedere informazioni per conto dei loro assistiti all’ente e avere risposte ragionevolmente veloci.

A solo titolo d’esempio, Equitalia segnala che sarà possibile avere informazioni in tempo reale su cartelle debitorie, ipoteche, situazioni di fermo amministrativo, oltre alla possibilità di presentare richiesta per la sospensione della riscossione.

La riscossa degli affitti

Abbiamo visto già dai mesi scorsi come il mercato immobiliare italiano abbia ripreso un po’ di dinamismo sul fronte delle compravendite, segno che le famiglie italiane cominciano ad avere un po’ più di fiducia nella ripresa. Aspettando che si risvegli anche il settore delle costruzioni.

Oltre che nel mercato delle compravendite immobiliari, però, si registra una ripresa anche nel mercato degli affitti. Secondo l’ultimo Rapporto sulle locazioni commissionato a Nomisma da Solo Affitti, nel 2015 gli affitti sono aumentati in media in Italia dell’1,7%. I rincari più significativi hanno riguardato gli affitti dei quattro locali (+3,3%) e dei trilocali (+2,4%).

Considerando invece la distribuzione geografica relativa ai rincari degli affitti, la città che ha fatto segnare il maggior incremento è stata Bologna (+11,6%), seguita da Perugia (+9%), Bari (+8,5%), Napoli (+6,3%), Genova (+5,5%) e Catanzaro (+5,2%). Non mancano i capoluoghi di provincia nei quali il prezzo medio degli affitti è calato: Palermo (-7,7%), Potenza e Campobasso (-5%), Roma (-2,2%).

Un altro dato significativo emerso dal Rapporto è stato l’incremento del numero di famiglie che hanno scelto gli affitti come principali modalità abitative: 59,5% nel 2015 contro il 50,3% del 2014 (addirittura 80% a Trento e Palermo).

Fino a qui abbiamo parlato di incrementi, statistiche e percentuali. Ma, nel dettaglio, a quanto ammontano le cifre medie degli affitti degli italiani? Il Rapporto parla di 516 euro al mese (558 se è la casa è ammobiliata, 572 se oltre alla casa si affitta anche il garage). Nettamente sopra alla media nazionale si posizionano Milano (916 euro), Roma (809 euro) e Firenze (642 euro); poco sopra Bologna (568 euro) e Venezia (566 euro).

Al Centro Sud, gli importi medi degli affitti si abbassano sensibilmente: 379 euro al mese a Potenza, 381 euro a Campobasso, 396 a Perugia e 399 a Catanzaro.

Chi ha paura della diversity?

PageGroup ha condotto una ricerca nazionale su un campione di 1.202 intervistati, di cui 372 impiegati in società dove sono applicate le politiche di Diversity & Inclusion, da cui emerge che per 2 aziende su 5, politiche di questo tipo sono gestite da meno di 3 anni.

Si tratta di un fenomeno nuovo, dove c’è ancora molto da fare, soprattutto nelle aziende di dimensioni minori – afferma Tomaso Mainini, Managing Director di Michael Page Italia, parlando dei risultati di questa ricerca sulla diversity -. Un aspetto che abbiamo deciso di approfondire per dare una fotografia di quale sia la situazione in Italia rispetto a un argomento delicato, ma fondamentale per il benessere dei luoghi di lavoro che sappiamo essere decisivo, e questa indagine lo dimostra, sulla motivazione e sulla produttività dei manager e dei dipendenti in generale”.

Dalla ricerca risulta infatti che l’82,5% delle aziende con meno di cento dipendenti non applica pratiche di Diversity & Inclusion. Gli ostacoli allo sviluppo di queste attività sono:

  • la convinzione che non si tratti di tematiche rilevanti per l’azienda nel 39,6% dei casi (54,2% per aziende con meno di cento dipendenti);
  • la mentalità del dipendente e in particolare la non accettazione di determinati gruppi di persone per il 37,1%;
  • uffici non adatti a ospitare personale con disabilità per il 27,5%.

Al contrario, le principali motivazioni per l’’attuazione di politiche di diversity nelle aziende sono l’’adattamento alle imposizioni legali per il 74,2% degli intervistati e ragioni etiche per il 67,4%. Il 62,9 delle donne ritiene che sia importante la ricezione di finanziamenti, mettendo quindi in primo piano l’’aspetto economico.

Sugli ambiti per cui sono state applicate politiche di Diversity & Inclusion nelle aziende in cui queste sono attive (campione 372 dipendenti), il 60,2% ha indicato il genere come area su cui queste pratiche sono state prevalentemente realizzate (il 68,2% per le aziende con più di mille dipendenti); a seguire, la nazionalità per il 59,1%, la razza per il 53,5% e l’’età per il 49,5%. Proprio l’’età è l’’ambito per il quale il 36,2% dei dipendenti pensa che sia più necessario implementare pratiche di diversity perché ancora troppo spesso oggetto di discriminazione.

Tra le principali attività svolte dalle aziende, il 38,7% degli intervistati ha indicato la promozione dell’’uguaglianza tra uomini, donne e razze. Al secondo posto con il 28% contratti e orari flessibili per consentire di conciliare vita privata e professionale. Infine, con il 26,9% le politiche per evitare la discriminazione sessuale, ad esempio durante il processo di selezione o sul posto di lavoro.

Dall’’indagine emerge anche una panoramica sulle caratteristiche che un manager dovrebbe avere per gestire al meglio un team di lavoro eterogeneo. Per il 55,2% degli intervistati la capacità più apprezzata è l’’ascolto attivo. A seguire, si trovano identificazione dei punti di forza e debolezza (47,3%), la capacità di lavorare con team differenti per cultura, usi e costumi (41%), la capacità di comunicare (33%), di identificare le criticità (33%) e di risolvere i conflitti (30,9%). Leggermente meno importanti sono, infine, l’’empatia (26,1%) e la capacità di apprendere dagli altri (18,8%).

Infine, un dato positivo quanto indicativo: il 58,3% delle persone intervistate esprime soddisfazione riguardo alle pratiche di diversity. Nello specifico, gli ambiti in cui sono stati percepiti maggiormente i benefici delle policy attuate sono il miglior equilibrio tra vita professionale e privata (28%), la maggior soddisfazione al lavoro (27,7%) e il miglioramento dell’’employer branding (20,7%).

Casa in montagna? Sì, grazie

Nonostante l’assenza di neve sulle Alpi che ci potrebbe accompagnare fin dopo Natale, per la stagione invernale 2015/2016 arrivano segnali positivi sull’afflusso di turisti, italiani e non, nelle località di montagna del nostro Paese.

Una ventata di positività pare aver interessato anche il mercato immobiliare e quello della casa vacanza in montagna, che ha visto una ripresa della domanda testimoniata anche dalle cifre e dalle dinamiche riscontrate dal Gruppo Tecnocasa.

La stagione invernale è infatti ormai iniziata in molte località e dopo che, negli anni scorsi, la crisi economica si era fatta sentire su questo settore, ora iniziano ad arrivare segnali positivi. Già la scorsa estate si è registrato un aumento del 20% di presenze lungo tutto l’arco alpino, che ha spinto verso l’alto il mercato immobiliare nelle località di montagna.

Nei primi sei mesi del 2015 le quotazioni delle abitazioni di montagna sono diminuite del 3,1%, con buone performance del Trentino Alto Adige (-1,9%), seguito da Piemonte (-2,7%) e Valle d’Aosta (-2,9%). In Abruzzo il calo più forte dei valori, con -8,5%, seguito dal Veneto (-4,4%).

Piacciono soprattutto le località di montagna più dinamiche e vivaci, che offrono al turista più esperienze e servizi: dallo shopping alle terme, passando per la gastronomia. E sono spesso i turisti che, una volta presa confidenza con il luogo, si informano poi per acquistare la casa.

Questa ventata di positività sembra aver interessato anche il mercato della casa vacanza di montagna che, nel primo semestre del 2015, ha visto una contrazione dei prezzi ma anche una ripresa della domanda grazie a valori più bassi e a mutui più convenienti.