Made in Italy: cosa cambiare per essere sempre più competitivi

Per proteggere i prodotti alimentari nazionali dal rischio, sempre più elevato, di contraffazione, è stato studiato un brand unico che faccia da contrassegno al Made in Italy ed ora i ministeri interessati e il Poligrafico dello Stato sono al lavoro per far sì che diventi realtà al più presto.

Potrebbe trattarsi di un primo passo, che per ora interesserà il food e che, in futuro, potrà abbracciare anche altri settori.

In realtà, la contraffazione non è l’unico problema, perché, con un trend sempre più salutista che ha visto, tra i brand mondiali non italiani, la Coca Cola dimezzare i suoi utili, occorre tenere presenti i mutamenti dei gusti dei consumatori, entro e fuori i confini.

Questi temi, attuali ed estremamente importanti, sono stati discussi ad Apertamente, iniziativa voluta da Luigi Scordamiglia, presidente della Federalimentare, che ha organizzato un tour per la stampa in alcune aziende del Nord che hanno accettato di aprire le fabbriche e i reparti di produzione.

Questo viaggio tra alcune realtà di prestigio del food italiano, da Ibis SalumiCaseificio Mauri, fino alla distilleria Branca e il birrificio Poretti, ha dimostrato come qualche cambiamento nella preparazione degli alimenti sia già in atto: fino al 30% di sale nei formaggi, riduzione dei grassi nei salami, eliminazione dei conservanti chimici in favore di quelli vegetali, e tagli drastici al glutine.

Senza dimenticare l’eliminazione dell’olio di palma da molti alimenti: ciò che sembrava impossibile è stato invece attuato, senza che i prodotti abbiano risentito in quando a sapore.
A dimostrazione che, se si vuole cambiare per migliorare, alla fine si riesce (quasi) sempre.

Vera MORETTI