Quando si tratta di agricoltura, il Made in Italy si avvale sempre più spesso della collaborazione e della manodopera degli stranieri, come ha confermato anche Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia-agricoltori italiani.
In questo caso, sembra che l’agricoltura rappresenti uno strumento di integrazione e non di sfruttamento, perciò si tratterebbe di una buona notizia.
A confermare questa tendenza ci sono, ovviamente, i numeri, che attestano la presenza, in tutta Italia, di 25 mila aziende agricole guidate da un imprenditore straniero, e di queste ben 12 mila sono guidate da extracomunitari.
Per chi sta cominciando a storcere il naso, pensando al rischio abusivismo, si tratta di imprese che in realtà creano ricchezza, poiché perfettamente in regola, versando complessivamente 11 miliardi di oneri fiscali e previdenziali.
Inoltre, un’azienda su tre conta almeno un lavoratore straniero, per un totale di 320 mila, di cui 128 mila
Un’azienda su tre conta almeno un lavoratore straniero, in tutto sono 320 mila di cui 128 mila extracomunitari.
Questi numeri sono stati resi noti dalla Cia in occasione dell’apertura dei lavori della conferenza economica tenutasi a Bologna, e che permetterebbero quel cambio generazionale che fino a poco tempo fa sembrava irrealizzabile, anzi, era fermo da decenni e con segno negativo.
Si spera, dunque, che questo trend possa subire presto un’inversione di tendenza, perché ora, con i titolari d’azienda italiani che hanno un’età superiore ai 60 anni, si rischia che nei prossimi dieci anni si assista al dimezzamento degli addetti nel settore. E per l’Italia, dove l’agricoltura è una vera risorsa, sarebbe un vero peccato, se non un’occasione perduta.
Vera MORETTI
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