Studi di settore al capolinea

Forse i liberi professionisti potranno dire addio agli odiati e invisi studi di settore.
Sembra, infatti, che questi verranno “rottamati” e definitivamente eliminati dal prossimo anno.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, ha dichiarato in proposito: “Per molti sarà la fine di un incubo anche se sarà necessario monitorare questo periodo di transizione con grande attenzione. I nuovi indicatori di affidabilità fiscale che sostituiranno gli studi di settore dovranno garantire una riduzione delle tasse e una maggiore semplificazione nei rapporti con il fisco. Altrimenti, questa novità servirà a poco. Per questo è determinante che nella fase di gestazione di questi indicatori siano coinvolte le associazioni di categoria dei lavoratori autonomi, che meglio di chiunque altro conoscono le specificità e le caratteristiche fiscali di queste attività imprenditoriali”.

Dopo 18 anni, le partite Iva sottoposte agli studi di settore attivati dall’Amministrazione finanziaria sono state oltre 2,5 milioni. Di queste, 2,6 milioni di attività, pari al 73% del totale, sono risultate congrue, ovvero in grado di rispettare le richieste avanzate dall’Amministrazione finanziaria in materia di ricavi.
Ma, nonostante ciò, questi contribuenti, dopo aver assolto il loro compito, rimangono comunque nel mirino del fisco, perché ogni anno rischiano di subire un accertamento fiscale, sebbene per gli studi di settore risultino soggetti fedeli al fisco. Nel 2016, infatti, sono stati poco meno di 368.500 gli accertamenti in materia di Iva, Irap e imposte dirette che hanno interessato le imprese potenzialmente soggette agli studi di settore.

Ha aggiunto Renato Mason, segretario della CGIA: “Chi nel prossimo futuro rispetterà le disposizioni previste dagli indici di affidabilità fiscale non dovrà più essere sottoposto ad alcuna attività accertativa. Inoltre, bisognerà limitare al massimo il numero di controversie per togliere quell’ansia da fisco che, purtroppo, continua a investire molti piccoli imprenditori. Per questo sarà necessario introdurre un regime premiale a beneficio di coloro che sono in regola con le richieste dell’Amministrazione, così come era stato annunciato verso la seconda metà degli anni ’90 in sede di presentazione degli studi di settore che, in seguito, è stato clamorosamente disatteso”.

Negli anni gli studi di settore hanno garantito un grosso apporto di gettito alle casse del Stato. Dal 1998, anno della loro introduzione, al 2015 (ultimo dato disponibile), a fronte di 49,2 miliardi di euro di maggiori ricavi ottenuti attraverso l’adeguamento spontaneo in sede di dichiarazione dei redditi, questi si sono tradotti, secondo una stima elaborata dall’Ufficio studi della CGIA, in 19,6 miliardi di euro di tasse in più versate all’erario.

Ha concluso così Zabeo: “Certo è difficile stabilire quanti di questi soldi siano il frutto di una graduale emersione della base imponibile e quanti, invece, siano riconducibili a tasse aggiuntive che i contribuenti hanno pagato perché l’asticella dei ricavi imposta dagli studi di settore era troppo elevata. Molto probabilmente la verità sta nel mezzo. Per questo è necessario che i nuovi indicatori di affidabilità non ricalchino queste vecchie abitudini”.

Vera MORETTI