Niente burocrazia per le imprese colpite dal sisma

Riccardo Alemanno, in qualità di Vice Presidente Vicario di Confassociazioni, ha voluto commentare la decisione di esentare le imprese colpite dal sisma dalla burocrazia che ne sfavorisce la ripresa per ben due anni.

Trattandosi di un intervento che era stato richiesto a gran voce da tempo, la sua attuazione è stata accolta con approvazione, anche a seguito di un tavolo ad hoc creato da esperti nel settore, tra cui spicca anche INT, l’Istituto Nazionale Tributaristi di cui Alemanno è presidente, che aveva sviluppato una serie di proposte per attuare sgravi tributari in caso di situazioni d’emergenza.
Ma, nonostante le numerose e valide proposte, finora era stato fatto poco, per non dire nulla, per semplificare la burocrazia.

Eppure le necessità di queste zone terremotate, ormai ad un anno di distanza dall’evento nefasto (che, però, lunedì 21 agosto ha aperto nuovi scenari con il terremoto ad Ischia), meritano senza dubbio la concretizzazione del taglio degli incentivi a regime. Senza dubbio considero un buon risultato il passaggio da quanto stabilito dal MISE il 4 agosto con la circolare n. 99473, art. 10 – dove i soggetti beneficiari avrebbero fruito dell’agevolazione concessa rispettivamente solo del 39%, 33% e 28% sull’importo totale spalmato nel triennio 2017-2019 – con quanto poi chiarito e dichiarato in una nota sempre del MISE, lo scorso 16 agosto, che conferma l’esenzione da tasse e contributi nella misura del 100%, per ciascun destinatario e per ogni singola annualità”, ha dichiarato Alemanno.

La decisione del MISE, dunque, ha il pregio di permettere a chi ha dovuto affrontare un evento così drammatico e traumatico, di poter pensare ad una ricostruzione seria, per tornare a lavorare al più presto senza dover aggiungere pensieri a quelli inevitabilmente già presenti. Se la burocrazia non mette i bastoni fra le ruote, è più facile ricominciare a guardare al futuro con positività ed ottimismo, fattore fondamentale in situazioni così complicate e delicate.

Anche se Alemanno ha voluto ricordare: “Certo, oltre a questo, è necessario lavorare sull’andare ad individuare ulteriori risorse economiche che, seppur non rappresentando la panacea risolutiva, sicuramente lasciano un segnale ben preciso. Oggi, per esempio, si parla di un possibile incremento di introiti derivanti dall’operazione rottamazione delle cartelle esattoriali. Se così fosse ecco che tale eccedenza potrebbe essere utilizzata per queste esigenze drammaticamente eccezionali. Troppo semplice? Forse, ma chi deve ricostruire la propria vita aspetta interventi rapidi e semplici”.

Il presidente di INT ha voluto anche mettere l’accento su un’altra questione: “Non dimentichiamoci dei lavoratori autonomi. Come mai sono stati destinatari solo delle esenzioni contributive e non anche di quelle fiscali, come è accaduto per le imprese? Certo le situazioni possono essere differenti, però anche il professionista che operava, e opera tutt’oggi, in queste zone ha subito danni ed è ugualmente in sofferenza. Sicuramente non è semplice fare interventi di esenzione che non abbiano delle pecche, ma ricordiamoci che oltre alla concretezza anche l’equità deve essere un obiettivo da perseguire. E su questi due punti, considerando la mission di Confassociazioni focalizzata sulla valorizzazione e la tutela dei liberi professionisti, è impossibile restare fermi e in silenzio. Anche qui andremo a lavorare per garantire equilibri giusti, necessari per far ripartire un mercato che merita di rinascere”.

Vera MORETTI

Lavoro autonomo o subordinazione? Ecco i requisiti

A seguito di alcune diatribe che riguardano la prestazione autonoma, che a volte potrebbe essere confusa con il rapporto di subordinazione, o viceversa, nella Sentenza n. 19436/2017 la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti in merito ai requisiti necessari per la riconducibilità a subordinazione delle prestazioni del lavoratore autonomo, con una precisazione: non è sufficiente la presenza assidua di un lavoratore all’interno dell’azienda per vantare il rapporto di subordinazione in luogo della prestazione autonoma.

Infatti, per far diventare l’autonomo un dipendente, va provata la percezione di una retribuzione fissa, ma anche l’obbligo di presenza in determinate fasce orarie.

In questa sentenza, il caso riguardava una lavoratrice autonoma che chiedeva le venisse riconosciuta la subordinazione con conseguente versamento da parte dell’azienda delle relative differenze retributive e del TFR spettante.

La Corte di Appello di Roma aveva confermato la pronuncia di primo grado, rigettando tale richiesta. Dello stesso avviso i giudici della Corte di Cassazione, i quali hanno precisato che, a fronte delle acquisite risultanze testimoniali e delle allegazioni di parte, non poteva affermarsi che la lavoratrice autonoma fosse tenuto all’osservanza di un orario di lavoro e a giustificare le proprie assenze. Inoltre la presenza della lavoratrice in azienda non era incompatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa autonoma. In più la lavoratrice non ha comprovato di aver percepito una retribuzione mensile.

In sostanza, si legge nella sentenza della Cassazione, dalle dichiarazioni testimoniali non si evidenziava alcuno degli elementi caratterizzanti la subordinazione, ossia della soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall’emanazione di ordini specifici oltre che dall’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo sull’esecuzione della prestazione lavorativa.

Vera MORETTI

Il Made in Italy pronto a sbarcare in Borsa

Il Made in Italy non si ferma, anche quando si tratta di sbarcare in Borsa.
Se, infatti, questo è stato l’anno di Unieuro, doBank, Banca Farmafactoring e Indel B, entro fine 2017, ma anche nel 2018, potremmo assistere ad altri importanti e prestigiosi debutti, o di clamorosi ritorni.

Considerando i più che positivi risultati ottenuti, ad esempio, di doBank, che ha ricevuto ordini per oltre 4 volte l’offerta, la spinta per fare il grande passo c’è eccome, poiché la liquidità c’è, soprattutto all’estero, dove colossi bancari sono pronti a supportare le promettenti matricole Made in Italy.
Requisiti delle aziende? Prima di tutto una equità story adatta, ma anche un trend di crescita solido anche in previsione del futuro, e ovviamente una cedola interessante per gli investitori internazionali.

Facciamo qualche nome:

Pirelli, ad esempio, sta preparando il suo rientro in Borsa, previsto per il prossimo 4 ottobre, con il supporto di grandi banche internazionali, tra le quali spicca ChemChina, che conbtrolla la creatura di Marco Tronchetti Provera dal 2015.

C’è poi Gima, azienda specializzata nel confezionamento di sigarette, controllata del colosso del packaging Ima. In questo caso, il gruppo ha tra gli azionisti la famiglia Vacchi. In Borsa verrà collocato il 30% del capitale ed usciranno i manager fondatori di Gima, mentre la capogruppo manterrà la maggioranza.

Anche se, occorre ricordarlo, l’esercito più folto che si prepara ad approdare in Borsa appartiene al settore del lusso, a partire da Valentino Fashion Group, controllata della holding dei reali del Qatar Mayhoola for Investments. In settembre infatti si potrebbero trarre le conclusioni finali. A seguire, Furla e Versace.

Per quanto riguarda l’energia, entro fine anno dovrebbe debuttare la Compagnia Valdostana delle Acque, ora di proprietà di Regione Valle d’Aosta al 100%.

Passando ai trasporti, Ferrovie dello Stato dovrebbe arrivare in borsa nel 2018, tallonata da Italo che, forse, potrebbe operare un clamoroso sorpasso e precederla nel debutto.

Vera MORETTI

Fallimenti in calo nel secondo trimestre 2017

Le imprese, nonostante ancora si stiano leccando le ferite a causa dei postumi della crisi, forse finalmente stanno rialzando la testa, almeno quando si tratta di fallimenti.

Tra aprile e giugno, infatti, sembra che i fallimenti siano sensibilmente calati, registrando dati inferiori rispetto allo stesso periodo del 2016. I dati ufficiali riportati da Unioncamere-Infocamere rendono noto che in questo trimestre sono fallite 3.008 imprese, contro le 3.537 dell’anno scorso, riferendoci ovviamente al medesimo periodo.

Tradotta in percentuale, si tratta di una diminuzione del 15%, confermando, e migliorando nettamente la performance dello scorso anno, quando il calo era stato del 3% rispetto al 2015.
E’ chiaro che, rispetto al tessuto, spesso, dell’imprenditoria italiana, si tratta di dati relativamente ridotti, ma rimane comunque un passo avanti da cui partire con ottimismo.

Dal punto di vista territoriale, la riduzione del flusso dei nuovi fallimenti è stata più consistente nel Nord Est, con un calo del 16,8% rispetto al secondo trimestre 2016, ma anche nelle regioni del Sud, dove il calo è del 16,5%.
Calo di apertura di procedure fallimentari anche nel Nord Ovest, anche se contenute al 14,7%, e al Centro, stavolta solo del 12,2%.

Vera MORETTI

Niente validità per le notifiche inviate in pdf

E’ stato stabilito dalla CTP di Reggio Emilia che non ha validità la notifica di un atto impositivo avvenuta via PEC, se l’atto in essa contenuto ha l’estensione pdf e non quella p7m.
Il motivo è che solo quest’ultima estensione garantisce l’integrità e l’immodificabilità del documento informatico, nonché l’identificabilità del suo autore con firma digitale.

La sentenza che l’ha stabilita è la n.204/2017 che ha affrontato per la prima volta la questione sull’estensione del file che contiene l’atto impositivo, soprattutto considerando che oltre alle cartelle nei prossimi mesi anche gli avvisi di accertamento saranno notificati via Posta Elettronica Certificata.

Nel caso specifico, una società si era vista notificare diverse cartelle di pagamento, alcune delle quali via PEC. Tuttavia, il file telematico della cartella di pagamento scelto dall’agente della riscossione era il pdf.
E’ stato dunque ribadito che la notifica via PEC non è valida se avviene, come nella fattispecie, tramite messaggio di posta elettronica certificata che contenga il file della cartella con questa estensione, poiché con la notifica via PEC in formato pdf, non viene prodotto l’originale della cartella, ma solo una copia elettronica senza valore perché priva di attestato di conformità da parte di un Pubblico Ufficiale.

Al contrario, l’estensione p7m del file notificato, che rappresenta la cosiddetta busta crittografica contenente al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica della firma e la chiave per la sua verifica, può attestare la certificazione della firma.

Nei casi in cui venga a mancare questa estensione del file, la notificazione via PEC delle cartelle di pagamento viene considerata non valida con annullamento derivato delle cartelle stesse.

Vera MORETTI

Le imprese competitive adottano la digital transformation

Un’impresa, per rimanere davvero al passo con i tempi, e con le concorrenti, deve inevitabilmente adottare strategie di digital transformation. Se ciò non accade, infatti, il rischio di rimanere tagliati fuori dal mercato è concreto, tanto che accade per una impresa su quattro.

In questo senso, le imprese europee sono molto indietro rispetto a quelle statunitensi, e, ovviamente, la differenza aumenta se si fa il confronto tra società native digitali e società tradizionali che stanno cercando di digitalizzarsi per riempire il gap.

Ovviamente, la situazione non è uguale in tutti i settori, e, a questo proposito, uno studio compiuto da Boston Colsulting Group registra le società di telecomunicazione come quelle più avanti rispetto ad altre aree di competenza.

BCG, inoltre, ha effettuato un’indagine su 1330 imprese, valutandole considerando 27 parametri di digitalizzazione, stilando di conseguenza il BCG Digital Acceleration Index, in cui, tra le altre cose, quelle che hanno ottenuto un punteggio tra 100 e 67 vengono considerate top performer, mentre quelle al di sotto di 43 sono considerate laggards.

Negli Stati Uniti c’è una percentuale maggiore, rispetto all’Europa, (28% contro 23%) di top perfomer e una percentuale leggermente minore (23% contro 25%) di laggards.
In quasi tutti i settori sono presenti più top performer tra le aziende statunitensi, che hanno anche un punteggio DAI migliore rispetto a quelle europee.

Per avere successo, le imprese necessitano, secondo Bharat Khandelwal, partner BCG esperto in tecnologia e digital transformation, di una combinazione vincente di obiettivi ambiziosi uniti a un’attenta pianificazione per l’attuazione dei piani. I top performer operano introducendo novità nei business model, mettendo al centro il cliente e utilizzando strumenti tecnologici, in primis l’intelligenza artificiale.

Vera MORETTI

In aumento l’occupazione, ma il gap pre-crisi c’è ancora

Una bella notizia sul fronte dell’occupazione arriva da una stima dell’Ufficio Studi della Cgia che stima, entro la fine dell’anno, l’avvento di 123mila nuovi occupati e 36mila disoccupati in meno.

Si tratterebbe di un piccolo passo per assottigliare il gap che, comunque, rispetto al 2007, anno pre-crisi, è ancora notevole.
Rispetto a 10 anni fa, infatti, lo stock medio degli occupati nel secondo semestre di quest’anno sarà inferiore di 142.000 unità, mentre i disoccupati saranno 1.447.000 in più. Se, ad esempio, nel 2007 il tasso di disoccupazione era al 6,1 per cento, quest’anno si attesterà all’11,4%: una quota quasi doppia al dato pre-crisi.

Paolo Zabeo, chiamato a commentare questi dati, ha voluto però mettere in guardia da alcune minacce che si vedono all’orizzonte: “Se dal prossimo 1 gennaio terminerà la politica monetaria espansiva, cioè il Quantitative Easing introdotto dalla Bce in questi ultimi anni, molto probabilmente assisteremo a un progressivo aumento dei tassi di interesse che innalzerà il costo del nostro debito pubblico, mentre gli investimenti saranno meno convenienti”.

Renato Mason ha aggiunto: “Per un Paese come il nostro che ha uno dei debiti pubblici in rapporto al Pil tra i più elevati al mondo lo scenario prossimo futuro rischia di risultare, in termini di principali indicatori economici, ancora troppo lontano rispetto all’apice economico di 10 anni orsono”.

Confrontando i dati, rispetto al 2007 c’è ancora un differenziale di 3,4 punti percentuali da recuperare per quanto riguarda i consumi delle famiglie, oltre a 5,9 punti di Pil, 7,3 punti di reddito disponibile delle famiglie e di 24,8 punti di investimenti (pubblici e privati), oltre ad un tasso di disoccupazione quasi doppio.

A questo proposito, inoltre, occorre ricordare che a giugno 2017 erano 145 i tavoli di crisi aperti presso il Ministero dell’Economia e dello Sviluppo Economico. Tra questi, 26 interessavano l’industria pesante, 14 il settore delle telecomunicazioni/software, 11 la componentistica elettrica/elettronica e altrettanti nel tessile-abbigliamento-calzature e arredo.
A livello regionale, invece, gli stabilimenti (non le aziende) in stato di crisi erano 37 in Lombardia, 29 nel Lazio e sia in Campania che in Veneto 24. Dei 145 tavoli, 9 riguardano aziende presenti sull’intero territorio nazionale.

Ha ricordato Zabeo: “Senza contare le migliaia di piccolissime imprese e di artigiani che sempre più a corto di liquidità, a causa della stretta creditizia praticata dalle banche e dai ritardati pagamenti decisi dai committenti, rischiano, nel silenzio più totale, di chiudere definitivamente i battenti”.

In merito, poi, all’ipotesi avanzata dal Governo di introdurre un nuovo provvedimento che dal 2018 agevoli l’assunzione dei giovani attraverso una forte decontribuzione previdenziale, la Cgia ricorda che negli ultimi anni il cuneo fiscale è stato “tagliato” in misura strutturale di 13,3 miliardi di euro l’anno (di cui 8,9 attraverso il bonus Renzi e di altri 4,3 miliardi con l’eliminazione dell’Irap dal costo del lavoro per i dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato). Oltre a ciò, il cuneo è stato ulteriormente alleggerito in via temporanea di altri 15 miliardi di euro grazie agli sgravi contributivi a carico delle aziende che hanno dato luogo ad assunzioni a tempo indeterminato nel 2015 e nel 2016.

A questo punto, Zabeo ha concluso dicendo: “Forse sarebbe più opportuno intervenire tagliando l’Irpef. I posti di lavoro si creano se riparte l’economia, se con più soldi in tasca le famiglie tornano a sostenere la domanda interna e non attraverso misure artificiose. Intervenendo sull’imposta sui redditi delle persone fisiche, inoltre, ne trarrebbero vantaggio anche i pensionati e i lavoratori autonomi che, purtroppo, in questi ultimi anni non hanno beneficiato di alcun vantaggio fiscale”.

Vera MORETTI

Asset manager: la crescita sta nell’innovazione

E’ stata appena resa nota la 15esima edizione della ricerca annuale sull’industry dell’asset management, realizzata da The Boston Consulting Group, che ha coinvolto 153 tra i principali leader del settore, cioè più del 62% degli asset under management globali.

Ciò che principalmente emerge è che gli asset manager devono puntare sull’innovazione per potersi garantire una crescita ulteriore e duratura.

Il report è stato intitolato Global asset management 2017: the innovator’s advantage, e ha voluto partire dalle fragilità che caratterizzano le performance dell’asset management, che nel 2016 hanno subito una brusca battuta di arresto in termini di ricavi, profitti e margini.

Alla base del progresso, che davvero potrebbe garantire ottime opportunità, c’è lo sviluppo delle nuove tecnologie. Questo significa che gli asset manager dovranno ottimizzare la gestione degli investimenti attraverso un’innovazione customer-driven, nuove competenze ed efficienza operativa. Nei settori operations e IT, i player potranno ridurre i costi da un minimo dal 20% al 35%: opportunità da cogliere velocemente per avvantaggiarsi rispetto ai competitor.
Oggi, meno del 50% dei gestori di patrimoni usa i big data o gli analytics: solo i più innovativi già utilizzano questi acceleratori digitali per costruire nuove funzioni interne.

Per accelerare i tempi, The Boston Consulting Group, ha stilato un decalogo da seguire:

  • Gli asset manager tradizionali devono puntare sull’innovazione per trasformare il proprio modo di lavorare e crescere ulteriormente.
  • Il 2016 ha confermato le fragilità dalle performance globali dell’asset management. Per la prima volta dalla crisi finanziaria del 2008, ricavi, profitti e margini si sono assottigliati e la pressione sulle commissioni è in aumento.
  • Il valore globale degli AuM è cresciuto del 7% nel 2016, ma l’aumento è stato prodotto in gran parte dal crescente valore degli investimenti in mercati finanziari in rapida crescita, mentre i nuovi flussi netti sono stati esigui.
  • In Italia, i risparmiatori stanno spostando i propri risparmi dai conti deposito tradizionali verso prodotti gestiti: questi flussi non sono comunque sufficienti a compensare la performance debole di diversi mercati europei.
  • Lo sviluppo di nuove tecnologie creerà opportunità per alcuni e minacce per altri: i leader del settore di domani saranno diversi da quelli odierni.
  • Gli asset manager dovranno ottimizzare la gestione degli investimenti nell’era digitale attraverso un’innovazione customer-driven, nuove competenze ed efficienza operativa.
  • Nei settori operations e IT, gli asset manager potranno ridurre i costi da un minimo del 20% a un massimo del 35%.
  • Meno del 50% degli asset manager usa i big data o gli analytics: solo i più innovativi già utilizzano questi acceleratori digitali per costruire nuove funzioni interne. Il divario in capacità crescerà ancora se il gap non sarà ridotto.
  • L’attività di M&A accelererà e avrà un crescente valore strategico: i deal diventeranno più grandi e più internazionali; il mercato si polarizzerà tra player molto grandi e piccoli specialisti.
  • Gli asset manager, per avere successo, dovranno conformarsi a uno o più di questi quattro modelli di business: alpha shop, beta factory, solution provider e distribution powerhouse.

Vera MORETTI

Ai cinesi piace sempre di più il vino italiano

La Cina è sempre più appassionata di vino, specialmente se proveniente dall’Europa, con una predilezione netta nei confronti dell’Italia.
Ciò è evidente dal proliferare delle enoteche, appartenenti alle società che operano nel settore, presenti in quasi tutte le province cinesi, e con preferenze molto diverse a seconda della territorialità, segnale che i consumatori del Sol Levante stanno sviluppando gusti e predilezioni spiccati.

Ad oggi la Cina è produttrice di 15 mio/ettolitri di vini, mentre lo scorso anno 2016 ha importato 638 mio/litri per un controvalore di 2,7 mld/euro.
Entro il 2020 si prevede che queste cifre raddoppino, e l’Italia non deve assolutamente farsi trovare impreparata e, anzi, essere pronta a cogliere la grande opportunità che le si sta presentando.

Per ora, infatti, il Belpaese è il sesto esportatore, con 125 mio/euro e per crescere ulteriormente e diventare una minaccia per chi ora si trova al vertice, deve tenere conto della fascia di clienti di età compresa tra 18 e 54 anni, che presenta sfaccettature molto diverse tra loro, a cominciare dall’età ma tenendo in considerazione anche le zone di residenza. E’ ovvio che chi vive in una zona urbana avrà tendenze diverse rispetto a chi vive in paesi rurali.

In generale, comunque, si può dire che i vini preferiti attualmente sono quelli di grande profumo e di grandi sapori, soprattutto rossi ma anche dolci e fragranti, probabilmente più capaci di adattarsi ad una cucina, quella cinese, ricca di spezie e contrasti di sapore.
Per ora i vini bianchi arrancano, poiché ancora è difficile concepire una bevanda che non sia a temperatura ambiente, anche se con le cucine delle aree marittime la tendenza potrebbe presto cambiare.

Vera MORETTI

I ritardi delle PA più deleteri dell’evasione fiscale

L’economia italiana è ancora pesantemente penalizzata dal malfunzionamento della Pubblica Amministrazione, che rende difficile, se non quasi impossibile, una ripresa concreta e forte.
L’Ufficio Studi della Cgia ha inoltre azzardato che i danni dell’inefficienza della PA sono superiori rispetto a quelli recati dall’evasione fiscale, una vera e propria piaga dell’Italia.

La Cgia, nella sua analisi, ha puntualizzato che il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per un importo di 42 miliardi di euro l’anno, mentre i debiti della PA nei confronti dei fornitori sono di 64 miliardi, di cui ben 34 dipendono dai ritardi nei pagamenti.
Inoltre, il peso della burocrazia penalizza soprattutto le piccole e medie imprese per un importo di 31 miliardi all’anno, mentre gli sprechi e le inefficienze che affliggono la nostra sanità hanno raggiunto 23,6 miliardi all’anno. E la lentezza della giustizia civile costa al paese ben 16 miliardi di euro.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia, ha dichiarato: “E’ possibile affermare con buona approssimazione che gli effetti economici derivanti dal cattivo funzionamento della nostra Amministrazione pubblica siano superiori al mancato gettito riconducibile all’evasione tributaria e contributiva che, secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sottrae alle casse dello Stato attorno ai 110 miliardi di euro ogni anno. E’ altresì verosimile ritenere che se recuperassimo una buona parte dei soldi evasi al fisco, la nostra macchina pubblica funzionerebbe meglio e costerebbe meno. Analogamente, è altrettanto plausibile ipotizzare che se si riuscisse a tagliare sensibilmente la spesa pubblica, permettendo così la riduzione di pari importo anche del peso fiscale, molto probabilmente l’evasione sarebbe più contenuta, visto che molti esperti sostengono che la fedeltà fiscale di un Paese è direttamente proporzionale al livello di pressione fiscale a cui sono sottoposti i propri contribuenti”.

Il Segretario della CGIA, Renato Mason, ha voluto aggiungere: “Al netto degli interessi sul debito, nel 2017 la spesa pubblica in Italia dovrebbe attestarsi sui 773 miliardi di euro e, come ricordano molti esperti, il tema della sua razionalizzazione continuerà a rimanere centrale anche nei prossimi anni. Infatti, nonostante l’impegno e gli sforzi profusi in questi ultimi tempi, i risultati giunti dalla spending review sono stati importanti, ma non ancora sufficienti. Secondo una nostra elaborazione, in questa legislatura, sebbene ci sia stato il blocco delle retribuzioni dei dipendenti pubblici, i risparmi strutturali ottenuti sono stati pari a 30,4 miliardi di euro. Nel frattempo, però, la spesa corrente al netto degli interessi è aumentata di 31,8 miliardi”.

Vera MORETTI