La flessibilità sul lavoro è stata passata al setaccio da parte dell’Osservatorio Smart Working della School of management del Politecnico di Milano e ciò che è emerso è che, se da una parte il numero degli smart workers è cresciuto di 60 punti percentuali rispetto al 2013, dall’altra sono ancora tante le imprese che non dimostrano di essere interessate e, addirittura, neanche sanno di cosa si tratti.
Ad oggi, ad esempio, ci sono 305 mila lavoratori che possono decidere liberamente luogo e tempi di lavoro, e rappresentano in tutto l’8% del Paese.
Più attente a questo fenomeno sono le grandi imprese, presso le quali lo smart working è arrivato al 36%, contro il 30% dello scorso anno e, tra quelle che finora non l’hanno ancora sperimentato, una su due starebbe per farlo.
Ma buoni risultati si vedono anche nelle imprese di dimensioni più piccole: nel 22% dei casi le pmi hanno avviato progetti informale e nel 7% si parla invece di progetti ben strutturati.
Anche se il 7% delle piccole e medie imprese non conoscono il significato di smart working, e il 40% non è interessato ad applicarlo ai propri dipendenti. Occorre ricordare, in questo caso, che spesso le pmi operano in settori in cui è difficile, se non impossibile, applicare flessibilità lavorativa.
L’esempio potrebbero darlo anche le aziende pubbliche, che sono decisamente indietro rispetto a quelle private: solo il 5% delle amministrazioni pubbliche italiane ha avviato progetti legati allo smartworking, mentre ben il 32% ammette di non essere minimamente interessato.
Vera MORETTI
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