Fisco batte i contribuenti nei contenziosi fiscali

L’Ufficio studi della Cgia ha effettuato una ricerca relativa ai contenziosi fiscali registrati nelle Commissioni tributarie provinciali a livello nazionale ed è emerso che nel 45% dei casi, almeno nel 2016, ha vinto il fisco, mentre nel restante 35% è stata data ragione al contribuente.

Ma lo scarto tende ad aumentare quando il risultato è riferito al valore economico del giudizio: in questo caso, infatti, le sentenze a favore del fisco sono state del 48,1%, contro la vittoria del contribuente ferma al 23,4%.

Stessi risultati anche nelle Commissioni tributarie regionali.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, ha detto in proposito: “Nonostante lo scarto a favore del fisco sia abbastanza netto non va trascurato il risultato positivo ottenuto dai contribuenti quando citano in giudizio l’Amministrazione finanziaria. Se teniamo conto dei costi che bisogna sostenere per avviare il contenzioso, dell’abbattimento del numero di ricorsi avvenuto dopo l’introduzione dell’obbligo della mediazione fiscale prima di adire in primo grado e dell’effetto scoraggiamento esercitato dal venir meno degli sconti sulle sanzioni mano a mano che si procede nel contenzioso, vincere oltre il 30% del numero di giudizi nelle Commissioni tributarie provinciali non è poca cosa”.

Per i contribuenti non è poca cosa portare avanti un contenzioso nei confronti del fisco, considerando lo spreco di tempo ma anche di denaro, poiché i costi in questi casi tendono a lievitare, tanto che si aggirano intorno alle migliaia di euro.
Occorre ricordare anche che fare ricorso non significa evitare di versare al fisco quanto richiesto, anche se in questo caso, in attesa del risultato finale, il versamento può essere parziale.

Anche in questo caso, ovviamente, i tempi sono lunghi, mediamente di 2 anni e 2 mesi per ognuno dei due gradi del giudizio, e proprio questa lungaggine, e i tanti inconvenienti che il ricorso può causare, spesso scoraggiano i contribuenti, i quali si persuadono da solo a pagare.

In seguito all’introduzione dell’istituto della mediazione, dal 2012 in poi nel caso di controversie di importo sino a 20.000 euro, vi è una fase anteriore alla procedibilità del ricorso in primo grado. In questa fase, l’Agenzia delle Entrate ovvero gli enti parti della controversia, prendono in considerazione il reclamo presentato dal contribuente che può contenere anche una proposta di accordo, la mediazione appunto.

C’è da dire, però, che l’istituto della mediazione risulta particolarmente efficace nello scoraggiare il contenzioso in quanto si è rilevato che, oltre la metà dei reclami presentati non si è tramutato in contenzioso evitando un ulteriore processo tributario. Ciò ha indotto il legislatore ad innalzare il limite a 50.000 euro.

Tuttavia, poiché l’ente che ha emanato l’atto impositivo è lo stesso che lo analizza ed eventualmente accettando la proposta di mediazione del contribuente ridetermina la pretesa tributaria, si può avere la sensazione che si assista ad una forma di autotutela tardiva, dal momento che lo stesso ente, potrebbe annullare l’atto come previsto dalla legge.

Ciò porta ad un aggravio per il contribuente, che dunque si trova a dover redigere e presentare un ricorso per ottenere ciò che gli sarebbe spettato di diritto e senza sanzioni.

Vera MORETTI

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