Firmato un decreto in aiuto delle imprese energivore

E’ stato firmato dal ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda il decreto sulle imprese manifatturiere energivore, che è entrato in vigore l’1 gennaio e che prevede una cospicua riduzione del differenziale di prezzo dell’energia elettrica, grazie all’introduzione, anche in Italia, delle nuove misure europee

Il decreto coinvolge circa tremila imprese dislocate in tutto il Paese, le quali potranno ottenere un progressivo allineamento dei costi per la fornitura di energia elettrica, arrivando ai livelli degli altri competitors europei.
Si stima che i benefici saranno di 1 miliardo e 700 milioni di euro.

Nell’ottica del Ministero, la riduzione del costo dell’energia per le imprese energivore, insieme al sostegno all’innovazione attivato con il piano Industria 4.0, costituisce la base per un recupero di competitività del Made in Italy e di tutti i settori industriali, per rilanciare la crescita, contrastando il rischio di delocalizzazioni.

Il beneficio sarà calcolato tramite parametri di consumo basati su standard di efficienza energetica, spingendo le imprese energivore ad un ulteriore passo in avanti in tal senso.

Ciò significa che verrà applicata la clausola VAL , Valore Aggiunto Lordo, alle imprese che hanno un costo dell’energia pari almeno al 20% dello stesso VAL.
Tali imprese potranno ridurre il proprio contributo alle rinnovabili fino a un valore minimo dello 0,5% del VAL, rendendo il costo sostenuto per il finanziamento a tale voce della bolletta elettrica esclusivamente funzione del proprio risultato aziendale.
Invece, per le altre imprese, è previsto il mantenimento di classi di agevolazione basate sul rapporto fra il costo dell’energia elettrica e il fatturato, con percentuali riviste per tener conto degli obiettivi di sostegno alla crescita.

Vera MORETTI

Transazioni con POS in continuo aumento

Il Consiglio dei Ministri ha emanato il decreto legislativo sui servizi di pagamento nel mercato interno che stabilisce che “per i pagamenti tramite carta di debito e prepagata la commissione interbancaria per ogni operazione di pagamento non può essere superiore allo 0,2% del valore dell’operazione stessa; per le operazioni tramite carta di credito la commissione interbancaria per operazione non può essere superiore allo 0,3% del valore dell’operazione”.

E’ inoltre stata abbassata la franchigia massima a carico degli utenti in caso di pagamenti non autorizzati, che passa da 150 a 50 euro.

Tale provvedimento vuole contribuire ad accelerare ancora di più la diffusione e l’utilizzo della moneta elettronica, cresciuto comunque sensibilmente da quando è entrata in vigore, dal 30 giugno 2014, la legge n. 221/2012 che prevede l’accettazione da parte di imprese e professionisti di pagamenti effettuati attraverso carte di debito.

In particolare, dal 2013 al 2016 il numero dei POS è cresciuto del 37,6% pari a 572.396 unità in più. Inoltre si è osservato un tasso medio annuo di crescita dell’11,2% dal 2013 al 2016 rispetto al più contenuto +0,8% del triennio precedente; di conseguenza tra il 2013 e il 2016 il numero di abitanti per POS passa da 39 a 29 abitanti per POS.
In parallelo tra il 2013 e il 2016 è cresciuto del 49,8% il numero delle transazioni con carta di debito tramite POS con un ritmo medio annuo del 14,4% rispetto al 10,2% osservato nel periodo precedente. L’ammontare delle transazioni sale a 115.418 milioni di euro e dal 2013 al 2016 è aumentato del 46,5%, con un trend maggiormente accentuato rispetto alla spesa per consumi finali delle famiglie che nel periodo è aumentata del 4,3%, evidenziando un crescente utilizzo da parte di imprese e consumatori.

Dal punto di vista territoriale, l’aumento più considerevole è avvenuto in Campania, dove si è passati da un tasso medio negativo del -1,1% nei 3 anni precedenti all’obbligo ad un tasso positivo del +16,0% nel periodo successivo; seguono Molise che è passata dal +1,1% al +17,4%, Piemonte che è passata da -2,5% a +13,5% e Valle d’Aosta che è passata dal -4,3% al +11,4%.

Vera MORETTI

INT chiede studi di settore solo per fini statistici

Nella sua consueta lettera di buon anno, inviata al Ministro dell’ Economia Pier Carlo Padoan, al Vice Ministro Enrico Morando ed al Direttore dell’ Agenzia delle Entrate Ernesto Ruffini, Riccardo Alemanno, presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi ha voluto affrontare subito una questione importante ed urgente.

L’attenzione del presidente di INT si è focalizzata sugli studi di settore, che, secondo lui, dovrebbero, per l’anno 2017, essere inviati a imprese e lavoratori autonomi sono per fini statistici, senza nessun’altra finalità.

Queste le parole di Alemanno: “Preso atto del rinvio dell’applicazione degli indici sintetici di affidabilità e dell’applicazione degli studi di settore, condividendo la volontà di applicare i nuovi parametri premiali (ISA) per tutti i contribuenti e non solo per una parte come precedentemente previsto, atteso che gli ISA andranno comunque a sostituire gli studi di settore che, evidentemente, non riescono più a rappresentare la realtà economica e produttiva di imprese e lavoratori autonomi e che pertanto non possono essere di supporto ad eventuali accertamenti, sono a richiedere che, per l’anno 2017, siano inviati solo ai fini statistici e non per la determinazione di ricavi, poiché come predetto non riescono più, tanto meno in periodi di crisi, a delineare ricavi realistici. Ciò evidentemente rappresenterebbe un vero atto di compliance da parte della P.A. e di rispetto delle imprese e dei lavoratori autonomi, ai quali era stato annunciato l’abbandono degli studi di settore e l’introduzione di strumenti di compliance quali gli ISA”.

Trattandosi di un argomento per lui cruciale, Alemanno si è dunque raccomandato affinché, anche in vista dello scioglimento delle Camere, il Ministero dell’Economia e delle Finanze rimanga dello stesso avviso: “Mi auguro che il Ministro Padoan accolga questa richiesta e che emani un decreto in tal senso, in caso contrario, ripresenteremo la richiesta al prossimo titolare del Dicastero dell’economia. Comunque sarebbe un bell’atto, finale o iniziale che sia, nei confronti dei contribuenti”.

Vera MORETTI

Accesso al credito: pmi artigiane ancora in difficoltà

Anche per quanto riguarda l’accesso al credito le imprese e le famiglie vedono finalmente uno spiraglio, quando, fino a pochi mesi fa, la situazione era preoccupante.

A confermarlo è l’Ufficio Studi di Confartigianato, che ha riportato anche le cifre ufficiali: nonostante una diminuzione dello 0,5% dei prestiti concessi alle società non finanziarie, quelli alle famiglie sono aumentati del 2,8% e quelli alle imprese medio-grandi sono cresciuti dello 0,2%.
In affanno sono ancora le imprese con meno di 20 addetti, che registrano un calo dello 0,8%.

Per quanto riguarda le società non finanziarie, sono andate bene quelle appartenenti ai settori manifatturiero e dei servizi, entrambi positive dell’1%, in contrapposizione con le costruzioni, in calo del 5,1%.
Il calo dei prestiti concentrato nelle piccole imprese non sembra inoltre strettamente determinato da condizioni strutturali di maggiore rischiosità: a giugno 2017, tra le società sane, il credito sale del 3,0% per le grandi imprese e dell’1,5% per le medie mentre ristagna (0,3%) per le piccole e scende del 2,5% per le micro imprese.

E’ evidente, invece, che il calo dei prestiti riscontrato dalle imprese di piccole dimensioni dipende in gran parte dalle difficoltà di accesso al credito: nel settore manifatturiero il saldo di opinione sull’accesso al credito delle micro imprese a settembre 2017 rimane negativo (-2,5%) mentre è positivo per le imprese medie (1,5%) e grandi (3,0%).

L’analisi dei prestiti all’artigianato, effettuata in collaborazione con Artigiancassa, mette in evidenza, a giugno 2017, uno stock, comprensivo delle sofferenze, di 41,0 miliardi di euro, in calo in un anno di 2,5 miliardi: il calo del 5,8% intensifica la flessione del 4,5% di marzo 2017 ed uguaglia quella osservata un anno prima.
Considerando il periodo compreso tra giugno 2012 e giugno 2017, i prestiti all’artigianato si sono ridotti complessivamente di un quarto (-23,1%), pari a 12,3 miliardi di euro in meno, calo oltre una volta e mezzo quello registrato dal totale imprese (-13,5%).

Vera MORETTI