Il recupero Iva sui crediti insoluti è un problema più che attuale. Alcuni consigli per risolvere il problema e per capire come agire.
La pandemia non solo ha creare problemi dal punto di vista sanitario, ma ha generato una forte crisi. Molte saracinesche abbassate, attività chiuse per sempre o difficoltà per portare aventi la propria attività. E di conseguenza una serie di fatture non pagate. Le aziende che si trovano davanti il problema delle fatture non pagate sanno già che forse avranno dei crediti insoluti. Con il termine: credito insoluto si indica quel titolo o credito che alla sua scadenza non viene pagato nei confronti del debitore.
Le aziende che si trovano in queste situazioni hanno la possibilità di portare i crediti in deduzione di bilancio. In altre parole la rilevazione di una perdita sui crediti se deducibile, riduce il reddito di esercizio e conseguentemente riduce l’ammontare delle impose da pagare. L’art.66 del DPR 017/1986 stabilisce che “le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali“. Ma come funziona per il recupero iva su crediti insoluti?
L’agenzia delle entrate con le circolari 77/E/2000 e 8/E/2017 ha definiti i criteri richiesti per l’emissione delle note di variazione anche quando sia trascorso più di un anno dall’operazione che ha generato il credito insoluto. I requisiti fanno riferimento all’emissione e alla registrazione del credito. Secondo il fisco infatti, il soddisfacimento del creditore attraverso l’esecuzione collettiva del patrimonio dell’imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo dello stato patrimoniale. In altri termini occorre puntare l’attenzione su due aspetti.
Il primo è che venga accertata l’insolvenza dell’importo indicato in fattura. Il secondo è che ci sia l’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale. Pertanto è necessario che il credito possa partecipare alla distribuzione di tali somme.
Secondo quanto stabilito dalla norma la variazione dell’Iva dipende dalle diverse procedure concorsuali. Nel caso del fallimento, occorre fare riferimento alla scadenza del termine per le osservazioni del piano di riparto. Quindi è opportuno recuperare l’Iva e quindi fare reclamo prima che sia emesso il decreto di chiusura fallimentare. Inoltre il reclamo non può essere fatto decorsi 90 giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria della chiusura per fallimento. In merito alla liquidazione coatta amministrativa è possibile il ricorso al tribunale entro 20 giorni dalla comunicazione fatta dal commissario.
Nel concordato fallimentare occorre attendere il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione dello stesso. Inoltre, nel concordato preventivo occorre non solo occorre l’omologazione, ma anche che il debitore abbia adempiuto a tutti gli obblighi assunti in sede di concordato. Ma la Corte di Cassazione con sentenza 25896del 2020 ha sancito che per poter emettere la variazione non occorre per forza dover aspettare al fine del’inter concorsuale.
Una procedura individuale spesso non dà gli esiti sperati. Questo perché spesso il soggetto/debitore non ha beni mobili o immobili a suo carico. Pertanto, spesso non si ha nulla da poter pignorare. Però è possibile procedere all’emissione della nota di variazione ai fini IVA.
Basta avere a copia del verbale di pignoramento che attesti che non ci siano beni a cui poter attingere. Una cosa è certa nel caso in cui si voglia emettere la nota di variazione dell’IVA, l’obiettivo è quello di evitare la scadenza dei termini di legge. Pertanto, è meglio sempre rivolgersi ad un professionista del settore, per evitare inutili perdite ulteriori. Anche perché occorre fare continui aggiornamenti sugli eventuali beni mobili e immobili del debitore.
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